lunedì 5 marzo 2012

Tra domiciliarità e residenze assistite

La discussione intorno al piano di rilancio del S. Chiara avvenuta nel corso del Consiglio Comunale del 20 febbraio scorso non ha sciolto uno dei nodi più importanti, il punto che dovrebbe stare alla base di qualsiasi scelta che abbia la pretesa di essere fondata su basi certe. Ovvero come si riorganizza un’azienda di servizi alla persona che oggi incentra la sua maggiore attività sui ricoveri, in un contesto in cui è privilegiata (e dunque finanziata) la permanenza dell’anziano nella propria abitazione? Non si può difatti far finta di non vedere che la Regione Toscana nei propri atti di programmazione punta palesemente sui servizi domiciliari e continua a finanziare progettualità finalizzate all’attivazione di tali servizi, sottraendo progressivamente sempre più risorse al finanziamento dei ricoveri all’interno di strutture assistite.
Senz’altro la permanenza nel proprio ambiente di una persona anziana è da preferire finché è possibile, e certamente  ha un costo molto minore rispetto al ricovero in struttura sia per la famiglia che per la parte pubblica. Ma il punto è che la tendenza a favorire la permanenza a casa è ormai acclarata, molto di più che in passato, accompagnandola con forme di assistenza a domicilio in ossequio ad un preciso indirizzo politico. 
Una struttura come il S. Chiara, che si regge prevalentemente sui ricoveri convenzionati con la ASL, non può riorganizzare se stessa senza aver chiarito nelle opportune sedi istituzionali, quanto si intenda investire in domiciliarità e quanto ancora in residenze assistite.
La questione, per quanto in sede di Consiglio sia stata bollata da una assessora come “teorica”, è in realtà assai pratica e anche urgente. Non si può infatti continuare a dirsi che i ricoveri vengono autorizzati in base a necessità oscillanti, che non c’è richiesta né liste di attesa e che predeterminarli è impossibile. Un’azienda sanitaria che orienta le sue scelte sulla base di input che gli vengono dalla Regione non può non sapere quanto questa intenda investire nelle residenze assistite da qui a 5 anni. Un’azienda di servizi alla persona come il S. Chiara questo chiarimento può e deve pretenderlo, e su questa base deve programmare le proprie scelte future.
Altrimenti immaginarsi nuove e efficienti strutture che non si sa con quali soldi costruire, nonché gestioni attraverso società a capitale misto pubblico-privato che miracolosamente porteranno in pari i conti, diviene un mero esercizio di stile. Né più né meno di un copia ed incolla reperito da qualche manuale universitario di economia.
Alla fine il piano approvato in Consiglio non ci dice quanti posti letto occorrono in base alla domanda, quali nuovi servizi si possono attivare perché ce n’è bisogno e perché c’è sufficiente margine di guadagno. Nulla di tutto questo, se non un generico e vago riferimento alla Rasd, senza peraltro accompagnarlo con un quadro economico realistico che garantisca la convenienza dell'attivazione, che non si tratta, insomma, di un altro servizio i cui costi risulteranno maggiori dei ricavi.
Non ritengo dunque di aver dato voce ai miei “desiderata” quando ho espresso queste considerazioni in sede Consiliare. Ho semmai fatto presente, di fronte a scelte di questo genere, cosa ritengo che venga prima e cosa dopo. Prima si esaminano le potenzialità del “mercato” e si confrontano con le potenzialità dell’azienda, poi si sceglie la struttura logistica e aziendale. Non viceversa.
Sonia Guarneri- Progetto Orginario

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