martedì 27 marzo 2012

Solvay: Il pane e le rose

Accettare o peggio fomentare la contrapposizione tra diritti dei lavoratori Solvay e diritti dei cittadini residenti a Saline è un grave atto di irresponsabilità, specialmente se compiuto da parte dei rappresentanti delle istituzioni. Oggi, in piena crisi economica internazionale, è molto facile soffiare sul fuoco della paura e dell'incertezza economica, ma nel nostro caso l'uso strumentale del ricatto occupazionale è fin troppo evidente. Questa circostanza va denunciata. Probabilmente il Comune di Volterra ha sbagliato nel bloccare il cantiere dei Boschini senza aver prima tentato di aprire un dialogo con l'azienda sul problema delle subsidenze e sul loro controllo. Quel blocco ha immediatamente innescato un aspro contenzioso, anche in termini legali, deteriorando i rapporti tra le parti e forse allontanando lo spazio per un'intesa. Per contro, il ricorso alla cassa integrazione da parte della Società Solvay, annunciato alla vigilia delle trattative in Regione, si configura come un evidente gesto di indebita pressione politica. Come tale è dovere della politica e delle istituzioni condannarlo. Sappiamo benissimo, infatti, che l'attività Solvay non dipende dal cantiere dei Boschini e neppure dalle concessioni minerarie che un tempo furono della Salina di Stato. La società belga è titolare di altre concessioni minerarie, in particolare di quella di Buriano, ancora ricche di salgemma, tanto da poter alimentare la fabbrica di Rosignano per alcuni decenni. Fino al giorno del contratto Monopoli-Solvay, la multinazionale non poteva neppure immaginare che avrebbe infine controllato anche le concessioni statali. Eppure la sua presenza sul territorio non veniva messa minimamente in discussione e meno che mai da una presunta carenza di salgemma. Difatti, Solvay ha continuato ad investire su Rosignano con continuità (pontile di Vada, parco industriale, prima centrale turbogas, seconda centrale turbogas, rigassificatore a metano...), magari ridimensionando nel contempo i posti di lavoro, come accade attualmente in tutta la grande industria.
La Germania dovrebbe insegnarci che la difesa del lavoro in Europa passa attraverso una continua ricerca della qualità, perché è chiaro che nella corsa al ribasso (già purtroppo avviata) non possiamo che rimetterci tutti. Tra i primi, gli stessi lavoratori. Un simile quadro di riferimento dovrebbe averlo chiaro prima di tutto la classe politica. Non possiamo attenderci che simili impulsi sorgano spontaneamente dalle imprese. Non da tutte, almeno. Per questo appare alquanto deludente una Regione che propone un protocollo come quello recentemente approvato a Firenze, concepito per aggirare i problemi anziché per risolverli. Appare molto probabile che qualsiasi espediente posticcio (come questo cosiddetto “protocollo ponte”) sia destinato ben presto a mostrare tutta la sua inconsistenza. Per questo assieme a Sinistra per Volterra avevamo proposto all'approvazione del Consiglio un documento che, impegnando l'Amministrazione di Volterra a fermare il progetto di Puretta, rendesse pienamente efficaci le sentenze del TAR e del Consiglio di Stato. In modo tale da “obbligare” tutte le amministrazioni a tornare ad un tavolo, per riscrivere con maggior serietà le prescrizioni al progetto di sfruttamento delle concessioni minerarie ex Monopoli di Stato. Gli altri gruppi non hanno voluto accogliere la nostra proposta, senza fornire alternative alla linea della Regione. Quindi, deliberando il no di Volterra al protocollo regionale, è stata presa una posizione giusta, ma dal valore sostanzialmente simbolico. Infatti, questa deliberazione non produrrà alcun beneficio concreto, perché oggi la strada per ridiscutere i criteri di sfruttamento delle risorse naturali della Val di Cecina passa unicamente dallo stop a Puretta. Uno stop necessario per tornare ad una trattativa reale, che ricerchi una equilibrata composizione delle diverse esigenze: quelle dell'azienda e dei lavoratori certamente, ma anche quelle dei residenti e delle altre attività circostanti. Servono  soprattutto indicazioni che guardino maggiormente al futuro della zona, disincentivando gli abusi e gli sprechi. Indicazioni troppo sbilanciate come quelle “elaborate” dalla Regione, per di più presentate in forma di aut aut, sono invece destinate ad allontanare la soluzione dei problemi, inasprendo fatalmente i conflitti.

Fabio Bernardini, Progetto Originario

Caso Solvay, la ragione e la forza

Ha sicuramente sbagliato la Regione Toscana approvando prima e siglando poi il protocollo d'intesa sulle concessioni minerarie di Poppiano e Cecina, senza un'intesa preventiva col Comune di Volterra. L'Amministrazione Comunale per quanto possa aver commesso anch'essa degli errori, anche notevoli, nella conduzione della trattativa, mantiene per intero il diritto di rappresentare questo territorio e la sua popolazione. Escluderla da un'intesa che riguarda prioritariamente il suo ambito è un atto antidemocratico e sicuramente un gesto arrogante. Il protocollo proposto dalla Regione non poteva essere approvato dal Consiglio Comunale di Volterra, poiché riporta una serie di affermazioni talmente insincere da risultare provocatorie. Nell'art. 2, per esempio, si dà esplicitamente per scontata la sostenibilità ambientale dell'attività, quando questa è notoriamente oggetto di accese discussioni da lustri. Nello stesso art. 2, le amministrazioni pubbliche, dalla Regione ai Comuni, s'impegnano addirittura a “garantire le migliori condizioni per consolidare la “competitività e redditività” delle aziende private Solvay e Atisale. Non crediamo che gli enti pubblici possano guardare soltanto alla “competitività e redditività” delle aziende del loro territorio, anzi. Pensiamo che abbiano il dovere di tener conto obbligatoriamente anche delle loro ricadute in termini di: occupazione, ambiente, salute, nonché alle interazioni con le altre attività vicine economiche e non solo. Probabilmente anche gli enti pubblici che gravitavano intorno alla Eternit a Casale Monferrato o quelli vicini allo stabilimento Solvay di Spinetta Marengo (Ferrara), si limitarono a pensare soltanto a “competitività e redditività” delle loro fabbriche. Tralasciando tutti i problemi collegati all'inquinamento da amianto nel primo caso e da cromo esavalente nel secondo. Ma oggi si contano le vittime e le condanne in sede giudiziaria.  

Progetto Originario

Solvay: riaprire il confronto, ma realmente

La storia si ripete. La Giunta Regionale, dopo aver deliberato il cosiddetto “protocollo ponte” sulle concessioni minerarie denominate “Cecina” e “Poppiano”, ha proceduto alla sua firma con i soggetti disposti a farlo. Chi non si è trovato d'accordo col testo proposto può tranquillamente accomodarsi fuori dalla porta. Peccato che tra quelli insoddisfatti dai contenuti del protocollo ci sia il Comune di Volterra, proprio quello interessato dalle suddette concessioni. Certamente invitare al confronto solo i soggetti con cui si è già d'accordo in partenza è molto più comodo. Semmai c'è da dubitare che questo sia un approccio democratico, e magari anche utile. Ingenuamente pensavamo che i tavoli di confronto si istituissero proprio per cercare di comporre punti di vista diversi, ma evidentemente c'è chi crede che siano strumenti di ratifica di decisioni già prese e calate dall'alto. Noi siamo di diverso avviso.
E' bene ricordare che se questa vertenza è in atto è in atto dall'ormai lontano 1995 (ben 17 anni), quando fu stesa la prima bozza di accordo Monopoli-Solvay, significa che ripone su ragioni fondate e ben radicate. Questo, infatti, fu un accordo così squilibrato da provocare conseguenze negative su più fronti: ambientale, economico, occupazionale. Conseguenze su cui colpevolmente sono stati chiusi gli occhi e su cui si vorrebbe sorvolare ancora adesso. Ricordiamole sommariamente. L'accordo paradossalmente nacque da un contenzioso tra Solvay e il Ministero delle Finanze per circa 170 miliardi di lire di canoni minerari non versati da Solvay allo Stato Italiano. Dopo aver perso in tutti i gradi di giudizio, Solvay avviò finalmente una trattativa per raggiungere una transazione col Ministero. Ma era appunto il 1995, il periodo di massima ubriacatura pro-privatizzazioni, per cui il contenzioso ebbe uno strano esito. Solvay si decise a versare dopo 22 anni il dovuto alle casse dello Stato, ma ricevette in cambio due sorprendenti regali: la possibilità di sfruttare i 1.740 ettari di concessioni minerarie dei Monopoli di Stato a Saline (che si andavano ad aggiungere agli oltre 1700 Ha che già possedeva) e il drastico abbassamento del canone minerario da 2.700 a 1.700 lire (88 centesimi) per tonnellata di sale estratto. Tale canone applicato a 2 milioni di tonnellate di sale prelevato annualmente dalla Val di Cecina equivale a 1.760.000 euro. Denari che vanno direttamente nelle casse del Ministero, praticamente senza prevedere misure d'indennizzo alle comunità locali. Questo nonostante l'ingente prelievo di risorse (acqua e sale), le subsidenze, le frane e l'immobilizzazione di territorio siano tutti oggettivi fattori negativi che si ripercuoto direttamente sulla zona di estrazione: l'Alta Val di Cecina, appunto.
L'accordo Monopoli-Solvay, secondo i suoi sostenitori, avrebbe dovuto rilanciare la Salina di Stato. Il tempo ha dimostrato quanto fosse falsa e tendenziosa questa previsione. I 130 posti di lavoro (posti statali, ergo di qualità) della Salina della metà anni '90 sono oggi ridotti a 43 in ATI-Sale, l'azienda che ha rilevato l'attività. Con una qualità dei posti di lavoro neppure confrontabile con quanto conoscevamo in precedenza. Anche tutte le altre promesse sul fronte aziendale sono rimaste tali: gli impianti dovevano essere ammodernati, le discariche messe a norma, la commercializzazione rilanciata. Infine, gli impatti ambientali sono così evidenti da costituire un caso di dimensioni regionali. Già varie sentenze del TAR e del Consiglio di Stato hanno affermato, per esempio, la necessità di ridefinire le prescrizioni a tutela della risorsa idrica per gli usi idropotabili, che oggi è scarsamente garantita. Non si può continuare a chiudere gli occhi e lasciare tutto com'è, perché così non si tutela il territorio, non si tutelano le risorse, si continua a penalizzare la popolazione di Saline e, in ultima analisi, non si difendono neppure adeguatamente i posti di lavoro dei dipendenti Solvay. A noi sembra che il modo migliore per consolidare l'attività di una azienda sia renderla compatibile con l'ambiente e le altre realtà che insistono sulla stessa zona. Tirare avanti alla meno peggio, invece, è il modo più sicuro per lasciare incancrenire i problemi e per far collassare definitivamente il sistema.

Progetto Originario - Commissione Ambiente      

lunedì 19 marzo 2012

Pediatria: i figli di nessuno

Il Direttore generale della ASL 5 Rocco Damone tenta di giustificare la soppressione della reperibilità pediatrica numeri alla mano. Ma il suo ragionamento è scorretto in partenza. Innanzi tutto si basa su dati riferiti ad un periodo di sei mesi, un arco di tempo del tutto insignificante da un punto di vista statistico, specie su un territorio scarsamente popolato come la val di Cecina. Si dimentica poi che sta parlando di un servizio di reperibilità: il medico viene chiamato dal Pronto Soccorso ogni qual volta ce ne sia la necessità. Damone non sbaglia quando dice che l’assistenza pediatrica domiciliare è migliorata con l’attivazione di un altro pediatra di libera scelta. Ma questo non giustifica la soppressione del servizio di reperibilità, che è cosa completamente diversa. La reperibilità infatti serve proprio per i momenti in cui non è possibile rivolgersi al pediatra di base! Per Damone non ci sono “buchi” nell’assistenza perché la notte e nel fine settimana ci si può affidare ai medici del Pronto Soccorso, del 118 o alla guardia medica. Dovremo cioè dedurre che i medici del Pronto Soccorso o del 118 sono in grado di erogare un’assistenza a 360° su tutte le specialistiche, dall’assistenza ostetrica ad una donna in gravidanza a qualsiasi tipo d’intervento  sui bambini o sui neonati? Come dire che un ingegnere civile può fungere da ingegnere nucleare o elettrotecnico secondo le richieste. Purtroppo a questo tipo di arrampicate sulle specchi si è ridotta la Asl 5. La verità è che ci si nasconde di nuovo dietro a scuse puerili per giustificare l’ennesimo colpo basso rivolto ad un servizio, il materno-infantile, falcidiato in pochi anni a suon di tagli. Pensare che solo un anno e mezzo fa si parlava di reparto di eccellenza di cui esportare l'esperienza in altri ospedali! Finché alla fine del triennio di sperimentazione venne chiuso il punto nascita, con la promessa di mantenere inalterata l’assistenza alla donna fino al momento del parto. Pochi mesi dopo fu soppressa la reperibilità del ginecologo. Poi la stessa sorte è toccata alla reperibilità dell’ostetrica.  Infine, il canovaccio viene ripetuto per pediatria. Prima si sposta la degenza pediatrica in medicina e s’istituisce un Day Service (un servizio diurno), con la garanzia dei pediatri reperibili la notte e i fine settimana. Un servizio così modesto produce fughe e quindi calano inevitabilmente i numeri delle degenze e degli accessi al Pronto Soccorso: ecco che si sopprime la reperibilità. Siccome questo modo di procedere cozza vistosamente con il fine della salvaguardia della salute dei cittadini, chiediamo alla direzione ASL 5 di ripristinare i servizi di reperibilità nel settore Materno-Infantile, affinché venga rispettato il diritto alla tutela della salute sancito dalla nostra Costituzione. Chiediamo quindi al Sindaco Buselli di intervenire emendando il Protocollo d’intesa per le politiche sanitarie, per inserirvi i necessari vincoli a tutela almeno dei servizi di reperibilità specialistici nell’area Materno-Infantile. Date le ultime scelte azzardate del direttore Damone, senza queste minime garanzie sarebbe irresponsabile per un’amministrazione siglare un Protocollo tanto carente da lasciare spazio a simili tagli.

Progetto Originario – Commissione sanità

venerdì 16 marzo 2012

Solvay: Situazione difficile, usciamo tutti perdenti

Situazioni come quelle vissute ieri in Consiglio Comunale a Volterra sono proprio quelle che la politica dovrebbe sforzarsi di evitare a tutti i costi. La sensazione è che Comune e Regione non abbiano fatto abbastanza per  ricercare un confronto più pacato, dove fosse possibile comporre le diverse istanze attraverso una mediazione reale. Per noi è una sconfitta trovare nella stessa sala del Consiglio tanta gente comune contrapposta in fazioni: quelli che difendono i propri beni, l'ambiente e il territorio da una parte e coloro che difendono il proprio posto di lavoro dall'altra. In realtà, non c'è futuro se il mondo del lavoro smette di pensare all'ambiente e alla salute, come non c'è prospettiva per un ambientalismo che non pensi anche ai posti di lavoro. Per correttezza va detto, però, che non si sono mai sentiti rappresentanti del Comitato per la difesa della Val di Cecina o delle altre associazioni per l'ambiente chiedere che le industrie del territorio chiudano i battenti. Semmai viene chiesto che cambino i metodi, ridefinendo ricadute e impatti di attività come Solvay, da un secolo insediate sul territorio, dando lavoro certamente, ma provocando anche una serie di conseguenze negative tipiche di un grande polo industriale chimico. Purtroppo i gruppi di minoranza presenti in Consiglio non hanno avuto occasioni di incidere sulla trattativa che si è tenuta in questi ultimi mesi tra il Comune di Volterra, le altre istituzioni e le società Solvay e ATI-Sale, quindi oggi ci troviamo di fronte ad un vero e proprio scontro istituzionale senza aver potuto offrire il nostro contributo di idee e proposte. In parte il danno è fatto, ma non bisogna assolutamente perseverare, per esempio, estromettendo l'Amministrazione Comunale di Volterra dai prossimi tavoli di confronto, come minaccia di fare la Regione. Questo è il Comune maggiormente coinvolto territorialmente e per popolazione nelle attività delle concessioni minerarie: non sarebbe democratico tenerlo fuori dai tavoli di concertazione. In Consiglio Comunale la nostra proposta è stata incentrata proprio sul ritorno di tutti i soggetti coinvolti al tavolo della trattativa: per questo abbiamo chiesto al Comune che rinunci a progetto dell'invaso di Puretta, trasformato surrettiziamente nell'espediente per driblare le sentenze di TAR e Consiglio di Stato che impongono di rivedere gli impatti ambientali dell'attività estrattiva sulla risorsa idrica. Questa resta la sola strada per “obbligare” tutte le parti a rimettersi a discutere, speriamo su basi nuove. Dispiace che col voto di ieri in Consiglio non si sia voluta percorrere questa strada, perché al momento alternative valide non se ne vedono.

Fabio Bernardini (Progetto Originario)
Danilo Cucini (Sinistra per Volterra)

Consiglio comunale Solvay 14 marzo 2012: le mozioni presentate e gli esiti di voto




Mozione presentata da Progetto Originario e Sinistra per Volterra


Voto:
Favorevoli: Progetto Originario, Sinistra per Volterra (4)
Astenuti: Uniti per Volterra, Popolo per Volterra (11)
Contrari: Città Aperta (5)

Esito: RESPINTA

Mozione presentata da Uniti per Volterra

Voto:
Favorevoli: Uniti per Volterra, Progetto Originario, Popolo per Volterra (14)
Contrari: Città Aperta, Sinistra per Volterra (6)

Esito: APPROVATA

Mozione presentata da Città Aperta
che sostanzialemtne chiedeva di firmare il protocollo-ponte

Voto:
Favorevoli: Città Aperta (5)
Contrari: Uniti per Volterra, Progetto Originario, Popolo per Volterra, Sinistra per Volterra (15)

Esito: RESPINTA

lunedì 12 marzo 2012

SANITA’: OCCORRE CHIAREZZA E COERENZA

“Sul Protocollo, che non è stato ancora firmato da nessuno, potremmo parlare giorni, ma se non si capisce che molte decisioni possono essere aggirate con circolari interne e definite come materia di "modello organizzativo", quindi competenza del DG, è inutile parlare”. Queste le parole pubblicate su facebook dal Sindaco Buselli in risposta ad una mia sollecitazione sul Protocollo per le Politiche Sanitarie concordato tra la Asl e lo stesso Sindaco.  Ma se il Protocollo d’intesa può essere superato a piacimento dal direttore generale della ASL attraverso l’emanazione di semplici circolari interne, a che servirebbe? Se così fosse, allora quel documento sarebbe inutile e dovremo dedurre che due anni di lavoro del Sindaco e dell’Assessore Fedeli abbiano prodotto l'equivalente di carta straccia. Se invece prendiamo per buone le parole che lo stesso Sindaco pronunciò qualche mese fa, all'indomani dell'approvazione in Consiglio Comunale dello stesso Protocollo, quando all'opposto lo definì “fondamentale per aver gettato le basi di rilancio di molti settori”, allora il quadro cambia completamente. In ogni caso, approfittando della circostanza che il Protocollo non è stato ancora controfirmato in Regione e che quindi può essere ancora rivisto, riteniamo che valga la pena affrettarsi ad implementarlo. Su questa premessa formuliamo una proposta. Chiediamo al Sindaco di riportare al più presto quel documento in Consiglio Comunale per apporvi le modifiche necessarie a impedire le riorganizzazioni al ribasso che sembrano imminenti, come l'accorpamento di Cardiologia in Medicina Generale. Già a suo tempo il nostro gruppo consiliare propose emendamenti in questa direzione, ma non vogliamo tornare su vecchie polemiche né cercare primogeniture. Potremmo anche accordarci su formule diverse da quelle che proponemmo sotto forma di emendamenti, purché efficaci per tutelare il servizio di Cardiologia così come lo conosciamo. La parola Cardiologia, infatti, non compare neppure nel testo dell'attuale Protocollo, che così com'è risulta perciò del tutto inefficace a tutela di questo importante servizio e della sua collocazione. A questo proposito vogliamo ricordare a tutti i cittadini e ai tanti operatori che non hanno avuto l'opportunità di leggerlo, che sul nostro blog (www.progettooriginario.blogspot.com/) è possibile scaricare il testo del Protocollo. Invitiamo tutti i cittadini e gli operatori ad utilizzare lo stesso blog o il nostro indirizzo di posta elettronica (progetto.originario@gmail.com) per qualsiasi comunicazione, segnalazione o suggerimento. Siamo inoltre disponibili ad aprire uno spazio web apposito, che faccia da centro di raccolta unico e trasversale per tutte le segnalazioni relative ai servizi socio-sanitari della zona. Per poter effettuare finalmente un monitoraggio puntuale di eventuali disservizi e delle riorganizzazioni interne (anche minime) che possano configurare o far presagire tagli imminenti. Serve disporre di un quadro chiaro e aggiornato della situazione, per non farsi trovare impreparati come purtroppo è successo in questi ultimi anni di fronte a nuovi tagli o riduzioni di servizi. Il momento è difficile e la zona dovrebbe organizzarsi per superarlo compattamente. E' essenziale che ognuno faccia la propria parte: cittadini-utenti, operatori, forze politiche e sociali, nonché istituzioni. Occorre innanzi tutto un fronte istituzionale forte, chiaro e coerente. Non giovano, invece, le posizioni altalenanti o reticenti, né le manovre tese a condizionare ed orientare il più che comprensibile malessere creatosi attorno all'attività ospedaliera.
Se poi di fronte a posizioni chiare e coerenti, che siamo più che disposti a sostenere, la direzione generale Asl dovesse insistere ad agire in modo unilaterale, non saremo certo noi di Progetto Originario, che abbiamo alle spalle anni di battaglie per l’ospedale, a tirarci indietro di fronte all'eventualità di una forte e compatta mobilitazione.
Manola Rosa – Commissione Sanità di Progetto Originario

Tutto per l'immagine

Corsi e ricorsi in tribunale, verrebbe da dire. La giunta Buselli non si concede requie: dispone, protesta, contrasta... e spesso finisce davanti al giudice. Nel corso della normale attività amministrativa di un Comune qualche volta può capitare, ma se diventa un appuntamento fisso, allora significa che le cose non vanno. Un caso esemplare è quello dei contenitori espositivi (le bacheche) dei partiti. L'Amministrazione Buselli questa estate ha deliberato che dovranno essere rimosse dalle loro sedi attuali e trasferite in piazza XX Settembre. La ragione dichiarata è il decoro del centro storico, quella reale la volontà di trasferire in una zona più appartata manifesti murari che spesso riportano critiche scomode per l'Amministrazione. La storia del presunto “decoro”, infatti, non regge ad una minima analisi razionale, perché se le bacheche fossero deturpanti, dovrebbero essere rimosse tutte, quelle dei partiti e quelle delle associazioni. Invece, l'Amministrazione Buselli considera “brutte” solo quelle dei partiti, mentre sono belle tutte le altre. Guarda caso, altrimenti avrebbe scontentato automaticamente i tanti affiliati alle associazioni che da decenni mantengono il loro manifesto murario nel centro storico. Anche un bambino capirebbe che sul piano del diritto non c'è nessun motivo logico perché i partiti e i movimenti politici debbano essere penalizzati rispetto agli altri gruppi. Se non per l'evidente volontà di Buselli e soci di “far sparire” quelle scomode opinioni dalla piazza e dalle vie centrali, dove cadono proprio sotto gli sguardi di tutti.
A noi sembra, che questa Amministrazione proceda con un modo di fare talmente arbitrario, incoerente e strampalato da superare spesso e volentieri la soglia del ridicolo. Purtroppo qualsiasi sorriso si smorza, quando veniamo a sapere quanto costano alla nostra comunità queste alzate d'ingegno. Ben 19.000 euro, infatti, sono stati già impegnati (di cui 3.700 liquidati, Det. 99/2012) a favore del solito avvocato Altavilla per difendere l'Amministrazione contro il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica intentato dal segretario locale del Pd per mantenere la  bacheca del partito al suo posto. Una cifra davvero ragguardevole per una causa legale di cui non c'era nessun bisogno: si direbbe quasi “cercata” col lanternino. Soldi di tutti noi, che sicuramente potrebbero spendersi molto più utilmente in un Comune dove, per esempio, gli impianti di riscaldamento delle scuole cadono letteralmente a pezzi.

Progetto Originario

Cresce il degrado della biblioteca comunale

Sebbene depositata da quasi un mese non è stata ancora discussa la mozione con cui il gruppo di Progetto Originario chiede all'Amministrazione Comunale un maggiore impegno per la biblioteca volterrana. Il sindaco all'ultimo Consiglio, senza sentire il parere dei capigruppo, decise di non metterla all'ordine del giorno, così la trattazione del tema è rinviata alla prossima seduta. Tuttavia, il fatto che l'argomento sia ormai in agenda poteva far sperare che in questo periodo venisse rivolta qualche attenzione in più alla biblioteca. Niente di più sbagliato. Proprio in queste settimane, infatti, uno specifico sopralluogo ha rivelato che il livello di degrado dei locali ha raggiunto vette insuperate, complice il freddo delle settimane scorse e la solita rilassatezza nei tempi di reazione dell'Amministrazione. Accade così che da qualche settimana il Paas (punto di accesso assistito ai servizi internet) resti chiuso, a causa della rottura di una condotta dell'acqua passante sotto il pavimento del locale. Un infortunio sicuramente accidentale, per certi versi inevitabile quando gli impianti sono vecchi e fatiscenti come nel caso specifico. Il disagio però viene pesantemente aggravato dal forte ritardo registrato nell'attivazione dei lavori di riparazione: i locali, infatti, restano chiusi da settimane, intrisi di umidità. Con conseguente sospensione del servizio di accesso a internet. Una situazione quasi identica la ritroviamo in emeroteca e nella adiacente sezione ragazzi. Qui, è una condotta dell'acqua collegata all'impianto di riscaldamento che si è frantumata, lasciando all'agghiaccio i locali che per conseguenza risultano inaccessibili.
Un terzo episodio fotocopia si è verificato anche al primo piano, nei locali della biblioteca guarnacciana, dove un ulteriore ramo della condotta del riscaldamento ha ceduto, inzuppando d'acqua l'intera volta, dal soffitto al pavimento. Tutti questi casi di degrado contemporanei ci comunicano tre cose importanti. La prima, forse più evidente, è che qualcosa non funziona in Comune nei tempi di avvio delle riparazioni. Non è possibile che per intervenire su un tubo rotto all'interno di un palazzo storico si lascino passare settimane, abbandonando libri preziosi della comunità o anche computers e altro materiale informatico all'umidità. E' evidente che in casi simili serve avviare gli interventi urgentemente. Non solo per non lasciare interrotti a lungo servizi importanti, ma anche a tutela del materiale contenuto nei locali. Il secondo aspetto da considerare riguarda la conduzione degli impianti nel caso di eventi avversi come è stato il freddo intenso delle prime settimane di Febbraio. A noi sembra che in simili occasioni, sempre preannunciate dalla protezione civile, l'Amministrazione dovrebbe organizzarsi per adeguare la conduzione degli impianti alle particolari circostanze. Per esempio, mantenendo il riscaldamento acceso in continuità, per evitare la formazione di ghiaccio nei tubi e quindi le ricorrenti rotture con i guasti che sempre le accompagnano. Infine, è ormai evidente che alcuni impianti sono davvero troppo vecchi e logori per andare avanti, cosicché andrebbe seriamente considerata l'ipotesi di metterci mano organicamente. Questo aspetto è emerso con drammatica chiarezza tanto in biblioteca quanto in alcuni istituti scolastici di proprietà comunale. Sembrerebbe, dunque, un'azione di buon senso la previsione nel piano triennale delle opere pubbliche della ristrutturazione straordinaria di questi vecchissimi impianti: la loro sostituzione completa o, dove possibile, almeno delle parti più logore e inefficienti. Per non doversi ritrovare il prossimo inverno di nuovo a piangere per disfunzioni e guasti ormai ampiamente annunciati. L'impegno dell'Amministrazione Comunale purtroppo in questi anni su questi temi è calato sotto la soglia di guardia, ma restiamo fiduciosi in un cambio di rotta. Tornando nello specifico della biblioteca, vogliamo credere che l'adesione del Comune al Comitato denominato “Volterra per l'Unesco” serva da stimolo per ritrovare la voglia di investire nel settore cultura e sull'immenso, a volte pensiamo immeritato, patrimonio culturale della città. Il Manifesto dell'Unesco per le biblioteche pubbliche rappresenta in questo senso un incoraggiamento e un monito al tempo stesso, laddove invita “i governi nazionali e locali a sostenere le biblioteche pubbliche e a impegnarsi attivamente nel loro sviluppo”. Volterra negli ultimi anni questo impegno lo ha sicuramente accantonato. Speriamo che presto possa recuperarlo e tornare città esemplare non soltanto per ciò che possiede, ma anche per ciò che produce nel settore strategico della cultura.

Irene Nesi, Progetto Originario

lunedì 5 marzo 2012

Chi difende il diritto alla salute?

I tagli alla sanità sono ormai diventati così traumatici che perfino i telegiornali non possono più ignorarli del tutto. Così una settimana fa sono finiti sul piccolo schermo i malati ammassati e quasi dimenticati nei corridoi dell'Umberto I di Roma. Tagliando dovunque i posti letto ed eliminando progressivamente i piccoli ospedali, finisce che anche i grandi risultano drammaticamente insufficienti. Siamo già oltre la soglia di guardia e la sanità italiana, che complessivamente è stata per decenni una delle più efficaci del mondo, sta pagando un caro tributo all'aziendalizzazione a tappe forzate imposta negli ultimi anni. L'ospedale di Volterra, da questo punto di vista, è come un avamposto di frontiera: tra i più piccoli della Regione viene ridimensionato da anni senza che si possa percepire ancora la fine, un punto di equilibrio oltre il quale è inaccettabile per tutti proseguire. Il personale sanitario, dopo qualche anno di indecisione, adesso sembra perfettamente conscio della situazione. Smantellando i servizi di base, le specialistiche più comuni - la Pediatria, l'Ostetricia, il laboratorio d'analisi, domani forse la Cardiologia - è il diritto alla salute di chi vive in questa parte di Toscana che viene meno. L'articolo 32 della Costituzione recita: “la Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività”. Su un principio simile non possiamo recedere. Dov'è il “diritto fondamentale” delle donne della Val di Cecina che, se incinte e costrette a recarsi al pronto soccorso, non possono neppure aspettarsi un'ostetrica reperibile? Col direttore generale Damone siamo scesi sotto la soglia di tolleranza ed è urgente intervenire subito. Per cercare di modificare una situazione così difficile, però, occorre chiarezza. La settimana scorsa in Casa Torre Toscano si è tenuta una riunione sulla situazione dell'ospedale, ma non si è visto né un volantino né un trafiletto di giornale che invitasse la cittadinanza, tanto che non è perfettamente chiaro neppure chi fossero gli organizzatori. A presiederla però c'erano il sindaco e l'assessore Lonzi, mentre seduti nelle prime file i rappresentanti dell'associazione Sos-Volterra, i rappresentanti della La Destra e dell'UdC. Il sindaco nella sua introduzione ha ribadito più volte il concetto che la salute non ha colore, ma la migliore dimostrazione di questo principio sarebbe stata offerta da una riunione realmente aperta, invitando tutte le forze politiche e sindacali della zona.  Il nostro diritto alla salute possiamo difenderlo soltanto se mettiamo insieme tutte le forze, perché quand'anche riuscissimo a coagularle tutte, non ne avremmo d'avanzo. Non bisogna avere timore del confronto di opinioni diverse, perché soltanto attraverso un continuo confronto si può raggiungere una piattaforma comune che compatti il maggior numero di organizzazioni e persone sulla difesa del locale presidio.
Progetto Originario

Sanità: quale ricetta contro i tagli?

A suo tempo, abbiamo esposto dettagliatamente le motivazioni che hanno spinto il gruppo consiliare di Progetto Originario, il 28 dicembre scorso, a votare contro il protocollo d’intesa sulle politiche sanitarie in Alta Val di Cecina, già siglato dal sindaco di Volterra Marco Buselli e dal direttore della Asl 5 Rocco Damone. Merita però riprendere questo punto, alla luce delle recenti manovre “riorganizzative” che la direzione Asl 5 ha già messo in atto o sta prospettando per l’imminente futuro per il presidio volterrano: soppressione della reperibilità ginecologica e ostetrica, accorpamento della cardiologia a medicina, solo per citarne qualcuna. Merita riprendere questo punto perché a qualcuno potrebbe essere sfuggito l’importante passaggio dell’approvazione in Comune del protocollo d’intesa. Questo accordo, sul quale si stanno sviluppando le sorti, niente affatto rosee, del nostro ospedale è stato infatti fortemente voluto dal Sindaco Buselli quasi si trattasse di una panacea. Dopo che fu siglato dal Sindaco e dalla direzione Asl 5, venne portato in Consiglio Comunale e approvato a larga maggioranza, con i voti della lista civica UPV, della consigliera di destra Bassini e del gruppo consiliare Città Aperta che fa capo al PD. Quindi il documento oggi ha la legittimità per essere operativo ed eventualmente dispiegare le proprie potenzialità. La circostanza che i tagli in questi ultimi mesi siano aumentati anziché diminuire conferma che quel documento era debole e carente.
Infatti, nel protocollo risultano cancellati molti dei punti cardine che erano stati precedentemente concordati tra tutte le forze politiche locali, tanto da pregiudicare, a nostro avviso, il futuro dell'ospedale. Per questo a dicembre ritenemmo di non votare tale testo e oggi i fatti ci danno ragione.
Come si può approvare un testo sul futuro dell'ospedale in cui la parola “Cardiologia” è stata del tutto cancellata? A questo proposito, il nostro gruppo aveva chiesto di inserire nel documento garanzie affinché per Cardiologia venissero mantenuti “gli attuali livelli di operatività e di assistenza”. Ma la maggioranza in Consiglio bocciò la proposta. Difficile addivenire ad un accordo di merito con risposte simili.
Un altro aspetto da chiarire riguarda la Guardia Attiva Anestesiologica. Era un punto programmatico essenziale, tanto che il precedente documento che concordammo a marzo 2011 recitava: “La risposta in termini di sicurezza del Presidio Ospedaliero è strettamente collegata all'attivazione irrinunciabile del Servizio di Guardia Attiva Anestesiologica.” Il 28 dicembre 2011 scoprimmo che nella versione del Protocollo siglata dal Sindaco e dalla Direzione Generale tutto il paragrafo relativo a questo servizio era stato cancellato. Tutto questo senza che nessuno chiedesse il nostro parere. Per il laboratorio di analisi avevamo concordato la difesa degli standard presenti ad inizio 2011, invece l'ultima versione del protocollo parlava di una “sezione che dovrà operare all'interno dell'Area Funzionale di Laboratorio a valenza aziendale”. Per Chirurgia eravamo d'accordo per chiedere almeno il potenziamento dell'attività ambulatoriale. Era inteso che si trattasse di quella di presidio. Il nuovo documento parla invece di un ambulatorio di Chirurgia Generale col personale medico di Volterra a Pisa. Manco a dirlo tutto quanto avevamo stabilito per difendere l’attività Materno-Infantile è stato cancellato. Nel frattempo, dopo la chiusura del punto nascita abbiamo perso anche la reperibilità ostetrico-ginecologica. Su Pediatria addirittura, mentre avevamo richiesto di ricondurre la degenza nell'ambito del settore Materno-Infantile, il protocollo siglato dal sindaco recita: “Rimane al momento invariata la collocazione dei due posti letto di pediatria (in Medicina). In attesa di un modello alternativo di gestione dell’assistenza sanitaria”. L'abbattimento dei ricoveri provocato dall'attuale collocazione dei letti pediatrici non lascia dubbi sul modello alternativo inteso: la chiusura definitiva. E intanto anche la soppressione della reperibilità pediatrica sembra imminente.
Per questi motivi siamo disponibili a difendere l'ospedale di Volterra con le unghie e con i denti sulla base di una piattaforma chiara, ma nessuno si illuda che plaudiremo un Protocollo che contraddice anni delle nostre battaglie per la Sanità e per l'ospedale di Volterra. Chiediamoci perché un direttore come Damone ha siglato un simile documento. Perché consente i tagli che gli è richiesto di portare ancora avanti.
Progetto Originario

Tra domiciliarità e residenze assistite

La discussione intorno al piano di rilancio del S. Chiara avvenuta nel corso del Consiglio Comunale del 20 febbraio scorso non ha sciolto uno dei nodi più importanti, il punto che dovrebbe stare alla base di qualsiasi scelta che abbia la pretesa di essere fondata su basi certe. Ovvero come si riorganizza un’azienda di servizi alla persona che oggi incentra la sua maggiore attività sui ricoveri, in un contesto in cui è privilegiata (e dunque finanziata) la permanenza dell’anziano nella propria abitazione? Non si può difatti far finta di non vedere che la Regione Toscana nei propri atti di programmazione punta palesemente sui servizi domiciliari e continua a finanziare progettualità finalizzate all’attivazione di tali servizi, sottraendo progressivamente sempre più risorse al finanziamento dei ricoveri all’interno di strutture assistite.
Senz’altro la permanenza nel proprio ambiente di una persona anziana è da preferire finché è possibile, e certamente  ha un costo molto minore rispetto al ricovero in struttura sia per la famiglia che per la parte pubblica. Ma il punto è che la tendenza a favorire la permanenza a casa è ormai acclarata, molto di più che in passato, accompagnandola con forme di assistenza a domicilio in ossequio ad un preciso indirizzo politico. 
Una struttura come il S. Chiara, che si regge prevalentemente sui ricoveri convenzionati con la ASL, non può riorganizzare se stessa senza aver chiarito nelle opportune sedi istituzionali, quanto si intenda investire in domiciliarità e quanto ancora in residenze assistite.
La questione, per quanto in sede di Consiglio sia stata bollata da una assessora come “teorica”, è in realtà assai pratica e anche urgente. Non si può infatti continuare a dirsi che i ricoveri vengono autorizzati in base a necessità oscillanti, che non c’è richiesta né liste di attesa e che predeterminarli è impossibile. Un’azienda sanitaria che orienta le sue scelte sulla base di input che gli vengono dalla Regione non può non sapere quanto questa intenda investire nelle residenze assistite da qui a 5 anni. Un’azienda di servizi alla persona come il S. Chiara questo chiarimento può e deve pretenderlo, e su questa base deve programmare le proprie scelte future.
Altrimenti immaginarsi nuove e efficienti strutture che non si sa con quali soldi costruire, nonché gestioni attraverso società a capitale misto pubblico-privato che miracolosamente porteranno in pari i conti, diviene un mero esercizio di stile. Né più né meno di un copia ed incolla reperito da qualche manuale universitario di economia.
Alla fine il piano approvato in Consiglio non ci dice quanti posti letto occorrono in base alla domanda, quali nuovi servizi si possono attivare perché ce n’è bisogno e perché c’è sufficiente margine di guadagno. Nulla di tutto questo, se non un generico e vago riferimento alla Rasd, senza peraltro accompagnarlo con un quadro economico realistico che garantisca la convenienza dell'attivazione, che non si tratta, insomma, di un altro servizio i cui costi risulteranno maggiori dei ricavi.
Non ritengo dunque di aver dato voce ai miei “desiderata” quando ho espresso queste considerazioni in sede Consiliare. Ho semmai fatto presente, di fronte a scelte di questo genere, cosa ritengo che venga prima e cosa dopo. Prima si esaminano le potenzialità del “mercato” e si confrontano con le potenzialità dell’azienda, poi si sceglie la struttura logistica e aziendale. Non viceversa.
Sonia Guarneri- Progetto Orginario