sabato 29 ottobre 2016

Referendum: non più local



Il DDl costituzionale sottoposto al referendum confermativo del prossimo 4 dicembre, ha tra le sue caratteristiche principali quella di incidere pesantemente  sui livelli decisionali locali. La proposta di riforma è costellata da tutta una serie di interventi tesi a comprimere gli spazi di manovra delle varie amministrazioni locali in tutte le loro articolazioni, al fine evidente di rafforzare in misura spropositata la supremazia dello stato centrale. Lo stato, ad esempio, sottrae alle regioni il potere di decidere su temi fondamentali di rilevanza territoriale come la tutela dell’ambiente, sottraendo loro  ogni possibilità di governo del proprio territorio. Stesso discorso per le politiche sociali, la tutela della salute , l’istruzione e la formazione professionale. In sostanza viene eliminata la competenza concorrente tra stato e regioni e imposta la c.d. “clausola di supremazia”. La scelta, in questi termini, è fortemente pericolosa per varie ragioni. In questi anni è già stato oggetto di un duro scontro la ridotta capacità dei comuni di poter incidere su certe materie che hanno una ricaduta diretta sui propri territori e che sono di competenza regionale, figuriamoci cosa succederà spostando ancora più in alto il livello decisionale che, lo ricorda la riforma, opera principalmente “ ai fini della tutela della Repubblica e dell’interesse nazionale”. Ricordiamo che in lunga sequenza di anni di crisi economica e di austerity la spesa pubblica è stata contratta, spesso forzosamente, a danno di tutte le amministrazioni locali, ma è sempre cresciuta a causa dello stato centrale. Che non riesce in nessun modo a dimostrare sobrietà.
La riforma Renzi-Boschi non è stata scritta con la testa rivolta alle persone, cercando di preservare le esigenze locali fisicamente più vicine ai cittadini. Eppure l’esperienza ha dimostrato che più si allontana il centro decisionale più diventa difficile per gli enti locali, tra cui  i Comuni, che sono la realtà più prossima ai cittadini, riuscire ad intervenire sulle esigenze particolari del proprio territorio. Ridurre il pluralismo politico e indicare “l’interesse nazionale”, come obiettivo primario da perseguire, non è affatto il segno di modernizzazione del paese, ma di una pesante chiusura al confronto democratico e dell’assenza di considerazione per le numerose e diverse esigenze, espresse dalle realtà locali in un territorio così ricco come quello italiano. L’esperienza dimostra che non possiamo credere ad una presunta “maggiore efficienza” del livello centrale rispetto quello locale. Semmai è esattamente il contrario. Lo Stato da anni impone i tagli drastici alle istituzioni locali, costringendole a lavorare con sempre risorse risicate tagliando servizi e alienando beni pubblici. Tutto questo quando sprechi enormi e incontrollati sono sempre più concentrati proprio nel bilancio dello stato, la cui macchina amministrativa elefantiaca assorbe in modo abnorme le risorse pubbliche, senza che mai nessuno sappia davvero dove i nostri soldi si perdono.
Chi volesse approfondire questo e altri aspetti della “riforma” costituzionale elaborata dal governo Renzi può partecipare ad uno dei due prossimi eventi organizzati dal Comitato del No. Il primo, in ordine di tempo, è la Riunione del Comitato del NO -  Volterra, che si terrà la sera di venerdì 28 ottobre alle ore 21,30 nella sala comunale di Casa Torre Toscano in Piazzetta San Michele.
La seconda serata, più concentrata sull’informazione, sarà l’incontro/conferenza dell’avvocato Felice Besostri, giustamente famoso per la battaglia legale vinta contro il Porcellum, dichiarato infine incostituzionale dalla Consulta. L’incontro pubblico si terrà il giorno 4 Novembre alle ore 21,15 presso la sala del Maggior Consiglio di Palazzo dei Priori a Volterra e punterà ad approfondire la sostanza delle modifiche costituzionali oggetto del prossimo referendum.
Progetto per Volterra – Comitato cittadino per il NO



Referendum sulla Costituzione: perchè NO




Solo pochi mesi dopo il silenzio imposto dall’alto sul referendum sulle trivelle così da far mancare il quorum, ci ritroviamo nel mezzo di un clamoroso trambusto mediatico per il referendum costituzionale su cui Renzi ha deciso di giocarsi una bella fetta dei suoi destini politici. Infatti, si vede bene che il presidente del consiglio per vincere è disposto a tutto. A cominciare dal palese abuso delle posizioni di governo. A cominciare dagli spazi sulla TV pubblica. Gli ultimi dati pubblicati riguardo ai TG riferivano, infatti, del 78% del tempo dedicato alle ragioni del Sì contro soltanto il 22% concesso ai sostenitori del No. Poi l’AGICOM ha interrotto la pubblicazione dei dati sul pluralismo dell’informazione nelle TV di Stato, come denunciato dal presidente della commissione di vigilanza sulla RAI, Fico. Non stupisce che molti dei rappresentanti del PD che si scagliavano a gran voce contro gli abusi propagandistici dei governi Berlusconi sui canali RAI, adesso siamo artefici e sostenitori di comportamenti identici e perfino peggiori, come dimostra il siluramento annunciato per fine stagione di una delle poche giornaliste RAI davvero coraggiose, Milena Gabanelli di Report. Del resto, anche l’iter parlamentare imposto alla “riforma” costituzionale è stato illuminante, costellato da voti di fiducia, ricatti e forzature regolamentari per imporre a tutto il parlamento una lunga serie di modifiche costituzionali decise solo da una parte. La politica italiana è talmente scaduta, che scorrettezza e incoerenza sono il (cattivo) pane quotidiano che ci viene propinato a secchiate, senza tanti complimenti. Pochi ci fanno ancora caso. Ma basta spegnere un attimo la TV e riflettere sul testo delle modifiche, per comprendere dove la nuova costituzione, imposta al Parlamento dal governo Renzi, andrà a parare. La sostanza della posta in gioco del prossimo referendum costituzionale non è certo la forma pasticciata che assumerà il nuovo Senato: quella è solo l’esca escogitata per far ingolosire gli elettori più sprovveduti. Il punto nodale è invece l’abbandono sostanziale degli equilibri mantenuti dalla costituzione vigente e l’inaugurazione di un sistema a democrazia dimezzata. A nostro avviso, il principale problema della nostra costituzione è la sua mancata applicazione circa numerosi aspetti, a favore di una prassi imposta dai vertici dei partiti sempre più accentratori e refrattari a sottoporsi al controllo. Il sistema progettato dalle modifiche costituzionali del duo Renzi-Boschi sposterà ancora più (e in modo difficilmente reversibile) le redini del potere dal parlamento (organo dove tutte le componenti della società sono rappresentate) all’esecutivo e sulle segreterie dei partiti, che riservandosi, grazie all’Italicum (versione renziana del Porcellum), il potere di nomina dei futuri candidati alla camera e senatori, potranno controllare strettamente i parlamentari. Non a caso si sono schierati per il No tutti i i più autorevoli costituzionalisti italiani, da Gustavo Zagrebelsky a Valerio Onida, passando per Lorenza Carlassare.Di fatto, salterà l’equilibrio tra governo e parlamento, e il criterio del bilanciamento dei poteri, tanto caro ai costituzionalisti del dopoguerra che bene o male ha garantito per circa un sessantennio uno sviluppo abbastanza equilibrato, una sanità e una scuola per tutti e un bagaglio di diritti fino ad allora sconosciuti agli italiani. Vale la pena di richiamare il documento di analisi redatto dalla potente agenzia finanziaria Jp Morgan nel 2013,  in cui si affermava che le costituzioni di alcuni paesi dell’Europa mediterranea dovevano essere cambiate con urgenza, a partire da quella italiana. Per le ragioni che queste tendono a tutelare i diritti dei lavoratori e garantiscono la licenza di protestare e dove si dichiara apertamente che: “le Costituzioni nate dalla vittoria sul nazi-fascismo consegnano eccessivo potere ai parlamenti rispetto agli esecutivi ed eccessivo potere agli enti locali rispetto ai governi centrali”. Troppa democrazia, dunque, fa male alla finanza, che non riesce a spremere quanto potrebbe da alcune nazioni europee. Ed ecco arrivata a tappe forzate la riforma costituzionale scritta ad hoc e imposta al parlamento dal giovane segretario del PD e capo del governo, con una spruzzata di populismo per farla digerire agli elettori e tutti gli ingredienti richiesti da oltre oceano. Con la benedizione dell’ambasciatore John Phillips e di Marchionne.  
                                                                                                                               Progetto per Volterra