mercoledì 27 febbraio 2013

MPS, la parola agli esperti

I recenti rovesci vissuti dal Monte dei Paschi di Siena hanno giustamente colpito l'opinione pubblica nazionale. Noi toscani siamo ancor più toccati dalla questione, perché possiamo osservare direttamente cosa significhi la presenza della banca cittadina per Siena e provincia. Da settimane tutti i media ne parlano, spesso dimenticando di rivolgere uno sguardo alla sorte di oltre 4000 dipendenti che rischiano di pagare per colpe non loro. I commentatori si concentrano per lo più sull'analisi del disastro. Oggi giustamente tutti affermano che il dissesto economico in cui versa il Monte deriva in gran parte dall'acquisto di Antonveneta nel 2007 ad un prezzo esorbitante, ben oltre il valore di mercato del gruppo. Al di là della indubbia presenza di risvolti politici nella vicenda, è forse utile tornare anche alla funzione di controllo esercitata sulle grandi manovre economiche e finanziarie dai grandi media in Italia e in particolare dalla carta stampata. Il Fatto Quotidiano, un piccolo giornale nato da pochissimi anni, ha il merito di aver fatto emergere lo scandalo, ma può essere un esercizio interessante andare a vedere cosa diceva la grande stampa all'epoca dell'acquisto di Antonveneta. Scopriamo, infatti, che 6 anni fa molti commenti differivano significativamente da quelli di oggi. Il quotidiano torinese, La Stampa, già il giorno dopo commentò l'acquisizione con queste parole: “Una operazione, quella annunciata, che sicuramente darà una diversa dimensione e nuove potenzialità alla più antica banca del mondo (il Monte fu fondato nel 1472) rafforzandone le aspirazioni di crescita senza snaturare però l’attaccamento al territorio”. La Repubblica nella rubrica dedicata all'economia si spinse anche a certificare la congruità del prezzo d'acquisto: “Il prezzo di 9 miliardi per circa 1.000 sportelli (8,5-9 milioni di euro per filiale) è di poco superiore a quanto, 2 anni fa, spese Abn Amro (circa 8,5 miliardi), ma negli ultimi due anni il valore delle banche ha subito un discreto rialzo, anche considerando la recente correzione” (La Repubblica Economia 8 nov. 2007).
Lo stesso giorno, su Il Sole 24 Ore potevamo leggere: “Con l'acquisto di Antonveneta, il gruppo Monte dei Paschi centra in un colpo solo l'obiettivo fissato dal piano strategico per il 2009: quello cioè di arrivare a una quota del 10% del mercato nazionale attraverso una rete di almeno 3mila sportelli (oggi rispettivamente 6% e 2mila). La banca padovana, con le sue mille agenzie per lo più dislocate nel Nord-Est del Paese, rappresenta da questo punto di vista la preda ideale per i senesi, che infatti avevano già guardato in passato alla possibilità arrivare a un'aggregazione di questo tipo”. La conclusione dell'articolo fu netta: “...la mossa di Siena spiazza completamente quanti ritenevano che il risiko bancario italiano avesse ormai esaurito spazi e desideri, e proietta il gruppo Montepaschi nell'Olimpo delle grandi banche nazionali (insieme a Unicredito-Capitalia e Intesa Sanpaolo). Con un'arma formidabile da utilizzare in futuro sul fronte dello sviluppo internazionale: l'alleanza con i francesi di Axa nella bancassicurazione. Dopo il colpo Antonveneta, le strategie di Banca Mps guarderanno infatti fuori dai confini nazionali”. L'altro quotidiano specialistico, Milano Finanza, il 6 febbraio 2009, titolò significativamente il pezzo di Paolo Panerai: “Banchieri coraggiosi”. All'interno si diceva “l'acquisto di Antonveneta, anche se a prezzo caro, era ed è fondamentale per Mps per mantenere la sua autonomia come terzo gruppo bancario italiano”. 
La chiusura di questo articoletto di riflessione sull'indipendenza della grande stampa italiana merita riservarla ad un piccolo giornale locale, che per l'occasione riuscì ad intervistare un faro dell'imprenditoria nazionale oggi prestato alla politica. Il 15 novembre del 2007, infatti, Il Corriere di Siena aprì la prima pagina con la dotta opinione di Montezemolo che dichiarò testualmente: “Antonveneta? Buonissima operazione bancaria”.

Progetto Originario

Dove volano le aquile

Dalla terza pagina dell'ultimo numero de La Spalletta, la consigliera Bassini ha voluto dare un saggio del suo spessore politico rivolgendomi in tono perentorio un mezzo interrogatorio su mie questioni professionali private. Bassini (o chi per lei) avrebbe scoperto che in qualità di geologo faccio parte del collegio tecnico del Polo della Val d'Era e che per questo ruolo negli ultimi due anni avrei percepito - addirittura - un compenso di “circa 2300” euro dai Comuni dell'Alta Val d'Era. Siccome i Comuni dell'Alta Val d'Era sono per lo più governati dal Pd, Bassini si sente autorizzata ad affermare che sarei al soldo del partito di Bersani. Dopo aver rovistato minuziosamente per molti mesi nella mia vita privata e professionale, in modo lecito e illecito, ecco che la lista civica “spara la bomba”. Lo fa per bocca della consigliera Bassini, sempre sull'attenti quando c'è da recitare un ruolo trash nella commedia buselliana. Inutile tentare di spiegare ai nipotini dell'ex vicedirettore di Libero, Renato Farina (nome in codice Betulla), la differenza tra ambiti amministrativi e ambiti privati dei consiglieri. Probabilmente non hanno guardato bene nel cassonetto sotto casa mia, altrimenti si sarebbero anche accorti che da due anni a questa parte il pizzaiolo (che dev'essere anch'egli del Pd) mi mette doppia dose di mozzarella nella Napoli.
Desolatamente chi è pasticcione come consigliere resta tale anche nel ruolo di investigatore, infatti il compenso che mi è stato finora riconosciuto dal Polo della Valdera è perfino più esiguo: sole 888,62 euro lorde. Compresi iva, tasse, previdenza e spese di viaggio. La consigliera Bassini certamente ha equivocato col compenso complessivo stanziato per i tre membri esterni del collegio. Purtroppo questo genere di incarichi non viene remunerato generosamente dalla pubblica amministrazione. Non so se anche Antonella Bassini è refrattaria ai numeri come l'ex assessore al bilancio Moschi, ma posso garantirle che per 888 euro lorde di lavoro non mi sarebbe convenuto rinunciare a poco meno di 55.000 euro di indennità, che come assessore avrei ricevuto dal Comune di Volterra se fossi rimasto al mio posto fino a scadenza di mandato. Nella sua (loro) mentalità è impossibile da concepire l'esistenza di persone che fanno politica senza secondi fini, o perfino disposte a rimetterci pur di rimanere coerenti con i propri principi. Non saremo tantissimi, ma il mio non è certo un caso isolato. La mia collega Guarneri, lasciando la carica di assessore, ha rinunciato ad un'indennità identica alla mia: puff, altre 55.000 euro buttate in tributo ad onestà e coerenza. Luigi Cocucci non era assessore nel 2010 ma, se avesse accettato di rimanere nella maggioranza con Buselli, avrebbe ricevuto indubbiamente una delega e con essa l'indennità di carica. Come è capitato ad altri, meno idealisti e molto più pragmatici.
Guardando strettamente al lato economico, con la politica in questo Paese c'è fin troppa gente che ci guadagna, molti pesci piccoli che ci vanno circa pari e qualcuno che ci rimette. Dipende da come la si vive. Nel caso di noi professionisti, poi, quelli che mischiano i due piani per interesse, di norma, tengono un profilo assai basso per non urtare nessuno, perché non si sa mai. Non è proprio il mio caso. In genere, collaborano stabilmente con enti e amministrazioni poco trasparenti, attraverso ben remunerati incarichi professionali (cifre almeno a 4 zeri) affidati direttamente, senza alcuna selezione. Come accade da più di tre anni ad un suo caro amico avvocato pisano col Comune di Volterra. Quanto a me, incarichi diretti da enti pubblici non ne ho mai ricevuti e anche quello da lei citato è avvenuto dopo una selezione, vagliata pure dal mio ordine professionale. Non nego che mi sarebbe piaciuto almeno andarci almeno pari con la politica, ma non è il mio destino. Alla fine non si tratta neppure di una scelta, dipende dall'impasto primordiale di cui la natura ci ha fornito. Sono cose sottili e difficili, cara Bassini, temo che lei non le possa capire.

Fabio Bernardini, Progetto Originario

Sulla pelle dei dipendenti del S. Chiara

Il piano di rilancio del S. Chiara, predisposto da Bacci e approvato da Buselli, individua come causa principale della perdita dell’azienda il costo eccessivo dell’attuale personale in servizio a cui si applica il Contratto Collettivo degli Enti Locali. Costo elevato non tanto in senso assoluto, quanto se confrontato con i contratti attualmente in vigore nel settore privato e specialmente nelle cooperative. Contratti molto miseri, per la verità.
L’obiettivo del presidente Bacci sarebbe quindi quello di sostituire gradatamente il personale della Asp S. Chiara con personale dipendente delle cooperative sociali, sperando di raggiungere così in tempi imprecisati il riequilibrio dei costi dell’azienda. Nel frattempo l'attività verrà ceduta ad una nuova società pubblico-privata (srl). Il percorso, a dire il vero, è già in atto da anni, senza grossi riscontri sul bilancio dell’azienda.
Ammesso e non concesso che i problemi derivino dall' “alto costo del lavoro” degli addetti interni, i conti continuano a non quadrare. E’ evidente che la sostituzione graduale del personale richiederà diversi anni, vista l'età media dei dipendenti (per i quali si attenderebbe il pensionamento o la procedura di mobilità). I tempi lunghi previsti appaiono del tutto incompatibili con l’urgenza di riorganizzazione richiesta dai revisori dei conti. E un progetto di rilancio serio dovrebbe misurarsi in primo luogo con tempi certi.
Anche questa contraddizione dimostra, a nostro avviso, la superficialità dell'analisi della situazione svolta finora, tutta concentrata unicamente sul costo del lavoro e poco o nulla sulle potenziali attività aggiuntive, mai seriamente esaminate. Non stiamo parlando delle attività improbabili (e probabilmente incompatibili) prese in esame in questi mesi da Bacci, come la gestione dei cimiteri comunali o l'amministrazione dell'ufficio locale del Giudice di Pace. Pensiamo ad attività propriamente attinenti al settore sociale. Come per esempio i servizi domiciliari, attualmente affidati dalla Società della Salute presieduta da Buselli ad un privato, che potrebbero essere affidati direttamente all'azienda pubblica S. Chiara.

Progetto Originario

S. Chiara: chi paga i debiti

Il piano di rilancio del S. Chiara, votato da Buselli & co, ha come nodo centrale la privatizzazione dell’azienda mediante la cessione dell’attività ad una società mista a responsabilità limitata.
Nel corso della discussione gli attuali amministratori hanno dribblato su come affronteranno la questione debiti che pesano sull’ASP S. Chiara, attualmente ammontanti a 1,8 milioni di euro e destinati a lievitare a dismisura nel 2013 per la drastica riduzione della convenzione con l’ASL 5. L’unica cosa che è stata ripetuta a gran voce è che mentre in passato si sono pagati i debiti dismettendo il patrimonio immobiliare, adesso si sta facendo una scelta diversa. Quale sia questa nuova scelta resta un mistero.
In realtà la risposta la si indovina confrontando il Piano di rilancio con la delibera del CdA del S. Chiara del dicembre 2012. I debiti finora maturati assieme a quelli che matureranno da oggi fino alla costruzione di una nuova residenza assistita li pagherà l’azienda pubblica che, dopo aver ceduto la gestione della residenza ad una s.r.l, non possiederà nulla se non il residuo patrimonio immobiliare. E’ logico concludere che l’attuale ASP, rimasta titolare né di attività né di beni se non pochi immobili, farà come è sempre stato fatto: sarà costretta a venderli per pagare i debiti.
Anche il recente articolo dell’assessore Lonzi, già letto nel corso del Consiglio Comunale dell’11 febbraio, evita totalmente di chiarire la questione. Badando bene di non spiegare come l’azienda pubblica pagherà i debiti, l’assessore si limita a comporre un decalogo del passato e a tirare in ballo, in malafede, Progetto Originario, senza aver afferrato il senso di quanto abbiamo affermato. La nostra proposta mirava a far riflettere sul valore del patrimonio immobiliare ancora in mano alla Asp (stimato nel Piano Bacci in 5 milioni di euro). Non per pagare i debiti, ma per finanziare i necessari investimenti sulla futura attività senza dover ricorrere alla privatizzazione.
Vi è, però, un dato ulteriore che non può essere sottaciuto. Secondo il CdA guidato da Bacci, l’azienda pubblica S. Chiara dovrà ripianare oltre ai debiti anche le future perdite della società mista. Almeno fino a quando non sarà realizzata una nuova struttura che ospiterà la casa di riposo, fra chissà quanti anni. Insomma non solo il pubblico si accolla i debiti accumulati, ma pure quelli che accumulerà la nuova società con partner privato in futuro. La previsione innanzitutto sembra ignorare il divieto di ripianamento delle partecipate che sussiste per gli enti e per i soggetti pubblici quantomeno dal 2010. Ancor più inspiegabile è la ragione per la quale l’ASP S. Chiara dovrebbe accollarsi un obbligo di ripianamento in misura superiore alla sua partecipazione societaria. Se il pubblico avrà il 52% della nuova società, perché secondo Bacci e Buselli dovrebbe ripianarne i debiti al 100%?
Per come oggi è varato il piano di rilancio, è chiaro che si vuole in tutti i modi favorire l’entrata di un partner privato, garantendogli il pareggio di bilancio continuando a scaricare le perdite sulla parte pubblica, che in definitiva fa capo al Comune di Volterra.
Un piano che più che rilanciare l’ASP S. Chiara sembra salvaguardare il socio privato, che ben presto non potrà che avere il sopravvento sul socio pubblico rimasto ricco soltanto dei debiti.
Progetto Originario

lunedì 18 febbraio 2013

S. Chiara, per i revisori “situazione insostenibile”


Parla di “situazione insostenibile” il parere espresso dai sindaci revisori sul bilancio previsionale 2013 della ASP S. Chiara. Sulla stessa relazione il collegio rincara la dose, allorquando “esprime grande preoccupazione per le previsioni del risultato economico fortemente negativo”. Le cifre che hanno allarmato i sindaci revisori sono quelle presentate dall'azienda per la previsione dell'anno 2013, che si attesterebbero su circa 562.000 euro di deficit.
Il rosso registrato nell'anno appena concluso, invece, si attesterebbe sui 260.000€, portando il livello del debito a 1,8 milioni di euro. Questa la situazione economica descritta nel bilancio di previsione che ha accompagnato il presidente del S. Chiara, Bacci, nella seduta del Consiglio Comunale dell'11 febbraio scorso. I sindaci revisori non potevano esprimere una bocciatura più netta. A questo quadro economico aggiungiamo che l’azienda si trova ancora al punto zero rispetto allo stato di attuazione del Piano strategico di sviluppo, approvato più di un anno fa dal CdA del S. Chiara e a seguire dal Consiglio Comunale col voto dello schieramento Buselli-Bassini. Secondo il cronoprogramma contenuto in quel Piano, oggi l'azienda avrebbe dovuto trovarsi a buon punto nel suo programma di riassetto complessivo. Avrebbe dovuto espletare la selezione di un partner privato, la costituzione di una Srl mista pubblico-privata, lo scorporo della gestione, il concorso di idee per la nuova RSA, la stesura del progetto per una nuova sede, la vendita del Chiarugi. Nella realtà nessuno di questi atti è stato realizzato. Ed è amaro constatarlo oggi, perché quando questo piano fu presentato in Consiglio un anno fa, dato che mostrò da subito numerose lacune e criticità, chiedemmo con le altre minoranze di poterlo emendare e rivedere, per raggiungere una stesura più convincente e condivisa. Tanto più che il piano in quella forma era stato respinto con decisione anche da tutte le forze sindacali. Alla nostra proposta di mediazione, la maggioranza Buselli-Bassini rispose picche. Non si poteva discutere nulla perché il piano, secondo loro, era ben congeniato così come era. Inoltre ci venne detto che non si potevano dedicare neppure poche settimane a migliorarlo, data la grave situazione dell'azienda che imponeva di agire con la massima urgenza. Logico che sia deprimente ritrovarsi un anno dopo a dover constatare che di quel piano non è eseguito nulla di nulla.
Di fronte ad una situazione così deficitaria sia sul piano economico che su quello delle strategie aziendali, il 6 febbraio attraverso i giornali, lo stesso presidente Bacci, a nome del CdA, aveva avanzato la disponibilità a dimettersi. Anche a nostro giudizio l’amministrazione del S. Chiara, a due anni dal suo insediamento, non ha corrisposto le attese. Di conseguenza, lunedì in Consiglio abbiamo chiesto che Presidente e CdA rimettessero il loro mandato, in modo tale da poter procedere con urgenza al rinnovo degli amministratori che operassero i necessari correttivi nella strategia aziendale. Oltre ai risultati strettamente economici, infatti, ciò che è mancato di più in questi due anni è stato l’avvio di un percorso credibile di ristrutturazione e di rilancio. Non a caso le previsioni di bilancio segnalano una situazione in rapido peggioramento.
La maggioranza, invece, ha deciso di proseguire su questa strada, confidando che il piano aziendale rappresenti la soluzione giusta, nonostante suoi ritardi e le contraddizioni aperte. A nostro avviso, invece, la strada intrapresa è molto pericolosa, perché basata unicamente su un pregiudizio maturato negli ultimi tre decenni e ripetutamente fallito. Ovvero che tutte attività, che quelle socio-sanitarie come in questo caso, possano essere demandate completamente al mercato. In omaggio a questo dogma, la gestione della casa di riposo dovrebbe passare dall’azienda pubblica S. Chiara ad una Società a responsabilità limitata a proprietà mista (srl). Come se, per incanto, l’arrivo di un socio privato nella gestione dell’azienda mutasse le condizioni oggettive in cui l’azienda opera. Intanto, secondo uno schema già visto più volte e che ha contribuito ad affossare il sistema Italia, i debiti rimarranno sulle spalle della parte pubblica. Purtroppo l’esito finale rischia di essere disastroso: la parte pubblica perderà un’attività sensibile, rivolta ad una parte vulnerabile della sua popolazione, mentre il futuro dei lavoratori coinvolti sarà senza dubbio più incerto, così come la qualità dei servizi resi domani agli utenti. La sola certezza è che i debiti e le prossime le perdite resteranno alla parte pubblica, andando quindi ad impoverire ulteriormente la comunità di Volterra.

            Progetto Originario

Uomini e caporali

La scelta compiuta dai dipendenti del Settore Tecnico del Comune di rendere pubblico un attestato di solidarietà ad una collega ingiustamente trasferita è stata una decisione coraggiosa, che merita il giusto riconoscimento. Già all'indomani della riorganizzazione del personale predisposta a fine 2011 dall'amministrazione avevamo pubblicamente criticato la scorrettezza dei criteri utilizzati e il clima di conflitto e di ritorsioni instaurato in Comune. La denuncia diramata pochi giorni fa dai dipendenti del settore tecnico nei confronti dell'amministrazione Buselli arriva a conferma di quanto già sapevamo. La novità semmai è costituita dall'aggravarsi di una situazione già difficile. Significa che il clima ricattatorio, già presente da un po' di tempo in Comune, è andato esasperandosi. Soltanto in presenza di una situazione molto difficile, infatti, si può spiegare la decisione dei dipendenti di superare la loro tradizionale ritrosia a criticare pubblicamente l'amministrazione.  Del resto questo non è il primo caso di “trasferimento punitivo” a cui assistiamo da quando si è insediata l'amministrazione Buselli. Già l'ex dirigente del settore tecnico fu demansionato e trasferito in un settore estraneo alle sue competenze, perché era risultato poco “malleabile”. Nel gennaio 2012, all'indomani dell'ennesima “riorganizzazione del personale”, denunciammo sulla stampa questi metodi con le seguenti parole: “La nuova riorganizzazione è prima di tutto il frutto del lavoro unilaterale degli Amministratori e del Segretario. Si è “riorganizzato” sulla pelle dei dipendenti e più in generale dei cittadini senza neppure sentire il bisogno di confrontarsi con le posizioni apicali del personale, che conoscono bene le competenze, i servizi e i problemi dei vari settori. Ci si è disinteressati delle capacità, professionalità e dell’esperienza delle persone, improntando le proprie scelte alla ricerca sfrontata della disponibilità dei dipendenti ad assumere atteggiamenti remissivi verso l’amministrazione. Laddove si è potuto, si sono relegate in un angolo figure di esperienza ma intellettualmente indipendenti e si sono svuotati interi uffici per ricorrere sempre di più agli incarichi esterni. Il criterio? Prima di tutto la fedeltà”.
A quanto sapevamo già un anno fa aggiungiamo i recenti scandali che vedono coinvolti alcuni amministratori e otteniamo il quadro attuale. Infatti, è chiaro che un'amministrazione tutt'altro che limpida, in cui sono emersi episodi spinosi e scomodi come quelli di Benzinopoli, vive come una minaccia la professionalità e l'indipendenza del personale. Al pari delle funzioni di controllo che la legge assegna alle opposizioni, patite ed osteggiate in tutti i modi dalla giunta Buselli. 
L'ultimo episodio con il trasferimento forzato di una dipendente che finora ha sempre fatto il suo dovere appare decisamente rozzo e sguaiato. Probabilmente da collegare all'avvicinarsi della scadenza del mandato e al terrore di venir estromessi da Palazzo dei Priori. Una possibilità molto concreta, che rischia di far perdere la testa a chi quattro anni fa aveva pensato di aver dato una svolta definitiva alla propria vita.

 Progetto Originario

lunedì 11 febbraio 2013

Rimborsi acqua in bolletta: non ci sono più scuse

Dopo un referendum e una sentenza della Corte Costituzionale, perfino il Consiglio di Stato ha ribadito ciò che i Comitati per la difesa dell’acqua pubblica chiedono da mesi: ai cittadini devono essere restituiti gli importi pagati in bolletta dal luglio 2011 ad oggi per l’ingiusta pretesa della quota di remunerazione del capitale investito. Voce di spesa spazzata via dal referendum del 2011.
L'Autorità per l'Energia Elettrica ed il Gas (AEEG), incaricata di formulare la nuova tariffa per l’acqua all'indomani del Referendum, pur di trovare una scappatoia aveva chiesto in proposito anche il parere del Consiglio di Stato. I giudici di Palazzo Spada hanno risposto confermando quanto già precedentemente affermato dalla Corte Costituzionale: dal 21 luglio 2011, data di proclamazione della vittoria referendaria, la remunerazione del capitale investito doveva cessare di essere calcolata in bolletta. Peccato che gli enti gestori come Asa e Publiacque, forti della copertura politica dei principali partiti, hanno continuato a fare orecchie da mercante.
Tutti i pronunciamenti sono stati concordi: quello che i cittadini hanno pagato finora è illegittimo. I soggetti gestori non hanno più alibi, devono restituire ciò che hanno illegittimamente percepito e ricalibrare le bollette al ribasso. Il Forum Italiano dei movimenti per l'acqua lo ripete da oltre un anno, intervenendo con la campagna di “obbedienza civile”. Noi di PO ci siamo fatti promotori della campagna nel nostro Comune, raccogliendo centinaia di richieste di rimborso che abbiamo puntualmente girato ad Asa. In molte province d'Italia tantissimi cittadini e spesso coordinati da movimenti hanno fatto la stessa richiesta, anzi, i più coraggiosi si sono autoridotti le proprie bollette per contrastare la violazione dell’esito della consultazione popolare.
Il parere del Consiglio di Stato, pubblicato il 25 gennaio scorso, rafforza l'obbligo di rispettare il referendum del 2011 e delegittima le scelte che hanno guidato l'AEEG nella formulazione della nuova tariffa, emessa un mese fa, in cui “la remunerazione del capitale investito” viene reintrodotta sotto mentite spoglie, cambiandogli semplicemente nome. Assistiamo al tentativo di riproporre la solita ricetta truffaldina della peggiore politica politicante. Nel 1993 la volontà popolare emersa dai referendum decretò l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti con una maggioranza di più del 90% dei votanti. I grandi partiti dettero un calcio al risultato del referendum, cambiando nome al finanziamento che da allora è stato ribattezzato “rimborso elettorale”. Il medesimo trucco fu impiegato anche per aggirare il referendum per l'abolizione del Ministero dell'Agricoltura e Foreste, che nel 1993 ricevette il 76% dei consensi. Il Ministero dell'Agricoltura divenne il “Ministero delle Risorse Agricole” e così rinominato è rimasto al suo posto.
Riproponendo simili imbarazzanti tentativi, oggi, i gestori dell’acqua cercano di sottrarsi all’applicazione della legge, contrastati finora dai promotori dei referendum del 2011 e dalle sentenze della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato. Ancora più imbarazzante appare il silenzio complice di tanta parte della politica e, al suo rimorchio, di molte amministrazioni pubbliche, tra le quali figura tristemente anche il Comune di Volterra.
Del resto, simili comportamenti sono la causa prima dell'enorme sfiducia che tanti cittadini nutrono verso i partiti e perfino verso la politica in generale. La sfiducia, però, non deve portare ad una resa, perché il distacco e il disinteresse corroborano questo sistema non lo contrastano. Per cambiare le cose non c'è altra strada che battere e ribattere incessantemente le proprie ragioni. C'è stato un referendum? L'esito finale è stato chiaro? Allora, se l'Italia è un Paese democratico, l'acqua deve tornare ad essere un bene comune pubblico e quindi sottratto alla logica del profitto.
Progetto Originario

La lunga crisi del S. Chiara

Come al solito apprendiamo soltanto attraverso i giornali, per bocca del presidente Bacci, la notizia dell'attuale, disastrosa situazione di bilancio del Santa Chiara. Eppure già a dicembre, ormai due mesi fa, avevamo presentato una mozione per portare il tema dello stato di salute dell'azienda all'attenzione del Consiglio Comunale. Il sindaco, rimangiandosi l'accordo preso in conferenza dei capigruppo, per ben due volte ha cancellato arbitrariamente l'argomento dall'ordine del giorno. Evidentemente non desidera che la situazione sia trattata in sede istituzionale. Ma qui non si sta parlando di un'azienda privata, qui è in gioco la principale azienda del settore sociale della Val di Cecina, con i suoi 60 posti di lavoro e gli importanti servizi che eroga alle famiglie. Nessuno può permettersi la leggerezza di giocare a nascondino in una situazione così delicata. Pochissimi giorni prima dell'allarme lanciato da Bacci, il sindaco Buselli, sempre attraverso i giornali, diramava sul S. Chiara notizie di segno opposto, come il boom positivo dei “ricoveri di sollievo”, parlando di un'azienda capace di reagire alle difficoltà. Bacci, al contrario, descrive un'azienda “in gravissima difficoltà economica e finanziaria”, anche a causa della riduzione dei ricoveri decisa dalla Asl 5.
La sensazione è che ai problemi strutturali e congiunturali si sovrapponga una decisiva inadeguatezza istituzionale. Poiché se è vero che molte ASP sono in difficoltà in questo periodo, la rapidità con cui sembra procedere la crisi del S. Chiara è del tutto inedita. Certamente in questi ultimi tre anni è mancata una proposta valida su cui intavolare una seria trattativa tra istituzioni, mentre sui giornali leggevamo periodicamente di nuove ricette miracolistiche, tutte regolarmente naufragate. Ovviamente nessuna di queste era stata fatta passare al vaglio delle parti sociali e delle istituzioni sovraordinate. Logico che siano fallite, spesso senza muovere neppure il primo passo, come il famoso piano di rilancio votato in Consiglio Comunale dalla lista UpV e dalla Bassini.
Adesso è l'ora di smetterla con gli slogan vuoti o peggio con i “colpi di testa”. Se la ristrutturazione cui Bacci allude dalle colonne dei giornali consistesse soltanto nello scaricare per intero i costi della crisi sulle spalle del personale dipendente, sarebbe il sigillo finale di una gestione finora sbiadita, rivelatasi al dunque pericolosamente inadeguata.


Progetto Originario

PROGETTO ORIGINARIO STA COI DIPENDENTI


Il Tirreno, 9 febbraio 2013

martedì 5 febbraio 2013

Interpellanza sui nuovi episodi di benzinopoli

Il giorno 25 gennaio il consigliere Bernardini a nome del gruppo di Progetto Originario ha depositato un'interpellanza al sindaco sugli ultimi risvolti delle vicende di Benzinopoli. Il documento, prendendo le mosse dagli episodi documentati nella Relazione inviata il 13 dicembre scorso al sindaco dall'Ufficio Finanziario del Comune, chiede a Buselli di motivare la sua scelta di non sporgere denuncia a nome dell'amministrazione alle autorità competenti per le ultime irregolarità riscontrate negli usi delle auto comunali e delle tessere carburante ad esse associate. La decisione del sindaco ha lasciato al solo responsabile dell'Ufficio Finanziario del Comune l'onore e l'onere di segnalare alla Guardia di Finanza le irregolarità emerse nel corso delle ultime verifiche. La legge però stabilisce che, quando si ravvisino usi impropri di denaro pubblico, sia i dipendenti sia gli amministratori hanno l'obbligo di prendere tutte le iniziative necessarie per la salvaguardia della cosa pubblica e della legalità. L'interpellanza prosegue chiedendo al sindaco di spiegare per quale motivo non abbia sentito il dovere di informare il Consiglio Comunale, nelle ultime due sedute, delle nuove anomalie di cui è stato messo a conoscenza già il 13 dicembre.
Se il sindaco non ha ritenuto di intraprendere alcuna iniziativa a nome dell'amministrazione che rappresenta, saprà dunque spiegare perché i rapporti periodici bancari abbiano documentato tutta una serie di rifornimenti, eseguiti soprattutto nella Val d'Elsa, pagati dal conto corrente del Comune con le tessere carburante delle auto del Settore 1 in date in cui quelle auto risulta che fossero ferme in garage. A noi non viene in mente alcuna spiegazione che sia contemporaneamente logica e legale, ma se sindaco ne conosce una è giusto che la illustri al Consiglio.
Come saprà fornire una spiegazione, logica e legale insieme, delle possibili cause che abbiano determinato su quelle stesse auto ripetuti, strani episodi di rifornimenti per quantità di carburante superiori alle capacità del serbatoio. Così come documentato ancora una volta dai report dei movimenti bancari associati alle tessere carburante.
Forse saprà anche spiegare, il sindaco, facendo riferimento a  modalità che siano convincenti e legali, come sia stato possibile eseguire vari pieni di gasolio su auto alimentate a benzina senza che i motori ne patissero conseguenze.
Abbiamo quindi chiesto al sindaco quali provvedimenti abbia assunto per far rispettare quanto prescritto dall'art. 54 del Regolamento di Contabilità, laddove prevede che tutte le auto comunali siano provviste di registri di viaggio su cui il conducente deve documentare chilometraggio e percorso. Mesi fa, grazie ad una nostra precedente interrogazione, il Consiglio apprese con stupore che la gran parte delle auto comunali, tutte quelle nella disponibilità del Settore Tecnico, viaggiavano senza registri, sottraendosi così a qualsiasi possibilità di controllo. A quasi 3 mesi di distanza, chiediamo quali azioni siano state intraprese dagli amministratori affinché questa irregolarità venisse tempestivamente sanata. Perché è evidente che se il dirigente del Settore Tecnico agisce in violazione palese di una norma e gli amministratori che dovrebbero vigilare non lo fanno, anche quando l'irregolarità è stata loro segnalata, allora significa che quella violazione è benedetta dall'alto.
Perché sia chiaro che gli abusi emersi finora riguardano soltanto la minor parte delle auto comunali, quella dotata di registri di bordo. La parte più cospicua, quella in dotazione al Settore Tecnico, afferente alle deleghe di Costa (Ambiente), Moschi (Opere Pubbliche) e dello stesso Buselli (Urbanistica), resta al di fuori da ogni controllo. In barba a quanto stabilito dal Regolamento di Contabilità del Comune di Volterra.
Progetto Originario, il gruppo consiliare

Tanto di cappello


Tanto di cappello al direttore Paterni per aver dimostrato di possedere il coraggio e il senso di responsabilità necessari ad anteporre l'interesse del Consorzio turistico al suo personale. Di questi tempi è raro trovare chi sacrifichi qualcosa di suo per un bene collettivo e tanto meno per ragioni di principio. Assistiamo, anzi, sempre più spesso allo spettacolo deprimente di persone che, a dispetto del più piccolo barlume di buon senso, restano avvinghiate a qualunque costo al confortevole posticino che gli è stato assegnato. Se questo porta loro qualche beneficio.
Ormai non valgono le più palesi dimostrazioni di incapacità e spesso, ormai, neppure di indegnità, per vedere qualcuno rinunciare a cariche pubbliche retribuite. Di fronte ad un simile sconfortante panorama, bisogna riconoscere che Paolo Paterni ha dimostrato di essere fatto di un'altra stoffa, preferendo cercare di salvaguardare l'interesse del Consorzio sacrificandosi. Il fatto poi che le recenti difficoltà del Consorzio non siano causate dalle sue scelte, ma dall'azione dell'amministrazione comunale avvalora ulteriormente il suo gesto.

Progetto Originario

Il solito metodo

Era del tutto scontato che l’articolo del capogruppo di Progetto Originario, Fabio Bernardini, sui finanziamenti comunali all'associazione Sos Volterra avrebbe suscitato delle reazioni convulse. Ha “osato” menzionare come esempio di favoritismo i 4000€ di soldi pubblici elargiti nel 2012 dall’amministrazione comunale all’associazione SOS Volterra di cui il Sindaco Buselli assieme a Moschi è stato fondatore e a quanto risulta riveste tutt’ora la carica di presidente onorario. Non poteva passarla liscia. Così il presidente dell’associazione SOS Volterra, Alberto Chiodi si è lanciato nella crociata a difesa dei “suoi” 4000 euro al grido di “Viva Volterra”, a cui hanno fatto eco con le solite accuse gratuite dirette alla persona di Bernardini la Federazione Civica, rappresentata da Moschi, la lista civica UPV, ormai una povera sigla impiegata a rilanciare le veline dell’amministrazione, e per finire i soliti “Amici del bar”, altro psudonimo-anonimo della stessa compagine. Non vale la pena dilungarsi sulle insinuazioni dei singoli articoli, perché i lettori attenti avranno già capito di che cosa si tratta. E' il solito metodo che ormai conosciamo bene: non si va nel merito delle questioni, ma si va con livore sul personale, al solo scopo di insultare e screditare chi fa il suo dovere con coerenza, per spostare l’attenzione dai fatti. I fatti imbarazzanti sono i finanziamenti comunali attribuiti nel 2012 a Sos, attingendo dal capitolo della cultura: 1000€ deliberati più 3000€ assegnati da una determina. Davvero tanti per un'associazione di questi tempi. E anomali se confrontati con quelli assegnati ad altre associazioni culturali cittadine.
Ma ben altro è emerso di imbarazzante per l'amministrazione comunale. Basti citare la recente vicenda battezzata dai giornali “Benzinopoli”, che vede coinvolto di nuovo almeno un assessore. I pieni di carburante eseguiti sulle auto private utilizzando le tessere carburante prelevate dalle auto del Comune hanno spalancato gli occhi dei cittadini su episodi di una gravità enorme. Si tratta di fatti mai smentiti, anzi talvolta candidamente ammessi dagli amministratori. Spieghino i militanti di Sos e i loro amici civici se è questo il modo di rilanciare Volterra. E' giusto sostenere un'amministrazione che di fronte a episodi di questo genere non si scuote, né vuole indagare e ultimamente neppure vuole denunciare? Ma per qualcuno pretendere un’amministrazione onesta non è una cosa normale, è “spaccare il capello in 4” per cercare di metter in cattiva luce l’amministrazione Buselli. Un’originale convinzione. D’altronde se lo scopo di Progetto Originario fosse solo quello di mettere in cattiva luce Buselli & company potrebbero senz’altro dedicarsi ad altro. Buselli & company, infatti, ci riescono benissimo da soli.
Riguardo poi alle fantasiose accuse a Bernardini di essersi già accordato sotto banco col Pd, aspetto con interesse l’avvicinarsi della campagna elettorale. Perché sono sicura che per tentare di governare di nuovo e a tutti i costi, se ne vedranno delle belle dalle parti della lista Buselli-Moschi. Dopo l'abbraccio con Bassini e La Destra storaciana, sembrano già in cerca di altri, più confortevoli abbracci. Eccoli lì, già da mesi a lanciare strizzatine d'occhio a destra e a manca, dal Pdl a Renzi fino a Monti. Se qualcuno se li piglia...

Manola Rosa, Progetto Originario