lunedì 2 maggio 2011

IL SOGNO DEL PARTO FISIOLOGICO E’ DIVENTATO PER NOI REALTA’

 “Il sogno del parto fisiologico è diventato per noi realtà”: è questo il titolo di un documento scritto da dodici osteriche dell’ospedale di Spoleto (per gli Atti della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia - Vol. LXXXIII), nell’anno 2007, all’interno del quale spiegano il cambiamento avvenuto nel loro modo di assistere le donne durante la gravidanza, il travaglio ed il parto. Un cambiamento che le ha portate da un’assistenza molto attiva, basata sul fare e sull’intervenire (rottura del sacco amniotico, somministrazione di ossitocina, Kristeller, episiotomia, spinte forzate etc.) ad modo di procedere molto meno invasivo, di accompagnamento nel percorso fisiologico della gravidanza prima e del parto poi, basato sull’ascolto della donna e delle sue personali esigenze. L’appagamento per queste ostetriche di aver avuto la possibilità di mettere in pratica, all’interno di una struttura ospedaliera, un metodo alternativo al tradizionale percorso medicalizzato della gravidanza e del parto, è stato grande. Ed il riscontro che hanno avuto nelle reazioni delle donne che hanno partorito a Spoleto in questi anni altrettanto soddisfacente. Dunque il sogno di un parto fisiologico all’interno di una struttura sanitaria sembra essersi realizzato sia per gli operatori che per le donne che ne hanno usufruito.
Molti pensano che partorire in una struttura che lascia la donna decidere come vivere il travaglio, con chi trascorrere i momenti che precedono il parto, come gestire i primi istanti di vita del proprio bambino sia una regressione verso il parto “primitivo”, quello delle nostre nonne. Sempre più donne, inconsapevolmente, trasformano il proprio stato di gravidanza in un periodo assimilabile ad una malattia, durante la quale si devono fare controlli mensili obbligatori con i medici, analisi invasive, monitoraggi continui. Ed il parto negli ultimi decenni si è trasformato nell’evento medicalizzato per eccellenza, con la presenza di vari operatori di fronte alla donna in travaglio che compilano moduli assillandola con domande sul decorso della gravidanza, con la tensione delle cinghie attorno all’addome e l’immobilità nella posizione supina per non creare interferenze con il tracciato cardiotocografico, con la presenza di luci da sala operatoria, in un ambiente sterilizzato ed impersonale. Si potrebbe continuare con tanti altri esempi, ma basta riportare il racconto che mi ha fatto una cara amica che, avendo scelto di partorire in una clinica universitaria, non si è potuta sottrarre alla vigilanza di ben sette laureandi che assistevano alle fasi finali della nascita di suo figlio. C’è, poi, chi ha dovuto affrontare le doglie immobilizzata su un lettino sistemato alla meglio in un corridoio, visto il sovraffollamento che affligge le sale travaglio di alcuni ospedali vicini. Non ci si stupisce certo che alcune donne conservino un ricordo allucinante del proprio parto. Le ostetriche di Spoleto hanno osservato i parti nei grandi centri ospedalieri, ascoltato le donne e le loro esperienze, per concludere che ci doveva essere un altro modo di partorire e di assistere le future mamme in un momento così importante della loro esistenza. Quindi hanno messo in pratica alcune delle teorie di Odent (il ginecologo-ostetrico francese), il quale sostiene che il miglior modo per aiutare una donna a partorire è cercare di disturbarla il meno possibile, in un processo come quello del parto del tutto fisiologico in cui la produzione di tutti gli ormoni giusti, quelli che rendono il travaglio ed il parto una esperienza bella anziché traumatica, è favorita da un ambiente sereno e personalizzato. Le donne volterrane penseranno che sarebbe bello sperimentare l’esperienza di Spoleto, partorire su uno sgabello svedese, in un ambiente familiare e accogliente, con ostetriche dalle facce amiche, che non ti giudicano e non ti impongono le tempistiche frenetiche delle sale parto affollate, che - se lo chiedi - ti mettono la musica e ti spengono le luci, che ti massaggiano la schiena ed i polpacci invece di stare davanti al monitor del tracciato, che ti fanno tenere il bambino appena nato al seno quanto vuoi. Le donne volterrane penseranno che sarebbe bello partorire in sicurezza, con la presenza di operatori medici ginecologi e pediatri pronti ad intervenire in caso di bisogno, ma discreti e disposti a far vivere alla donna il decorso fisiologico del parto come succede nella stragrande maggioranza dei casi in cui nasce un bambino. Molte donne volterrane probabilmente non si immaginano che non c’è bisogno di recarsi a Spoleto per trovare tutto questo: basta partorire al punto nascita di Volterra, dove il progetto sperimentato in questi ultimi anni dal dott. Srebot, dai suoi colleghi e da un’ottima equipe di ostetriche può considerarsi un passo avanti di rilevanza nazionale, nell’evoluzione del parto fisiologico eseguito all’interno di una struttura ospedaliera. Per vivere l’evento parto con lo stesso rispetto alla fisiologia ed alla psicologia della donna e del bambino dovremmo recarci all’estero (in nazioni come la Svezia), dove già da anni si è iniziato a mettere in discussione il parto medicalizzato e spersonalizzato dei grandi ospedali, per tornare a dare importanza ai piccoli centri in cui ci si può aspettare un accompagnamento alla nascita più consono alle necessità della donna e del bambino.
Il progetto del dott. Srebot ha una scadenza che ne prevede il termine il 1 Luglio prossimo. Ci auguriamo che la qualità nell’assistenza al parto che si è raggiunta nel punto nascita di Volterra (e che è aumentata dal 2009 ad oggi, come io stessa ho sperimentato dalla nascita del mio secondo figlio a quella recentissima della mia terza bimba), non venga interrotta solo perché le tabelle regionali non considerano tale progetto “remunerativo” dal punto di vista economico. Ci sono progetti  come questo che per imporre la loro qualità devono essere  pubblicizzati e valorizzati, in modo tale che sempre più donne ne possano comprendere il valore, prima di tutto, culturale e umano. In seguito a ciò potremmo dire che Volterra è stata una delle prime cittadine nel Paese a fornire un contributo per una nuova “civiltà” del partorire.

Irene Nesi




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