Fare il pieno alla propria auto prelevando i soldi dal conto corrente del Comune con la tessera carburante in dotazione all'auto istituzionale non si configura come un mero “errore procedurale”, come il sindaco vorrebbe far credere nel disperato tentativo di puntellare la sua maggioranza. Si tratta di un vero e proprio illecito. Lo abbiamo già detto e lo ha riconfermato a chiare lettere anche il comunicato diramato di recente dalla Rsu del Comune.
Basti
dire che episodi identici a carico di dipendenti comunali rientrano in quella
cerchia ristretta di casi considerati motivo sufficiente per giustificarne il
licenziamento in tronco. Infatti, le cronache dei giornali in questi ultimi
anni hanno registrato vari episodi di dipendenti pubblici licenziati su due
piedi per essere stati pescati a far benzina nella propria auto con la carta
carburanti prelevata da un'automobile di proprietà dell'amministrazione. Spesso
oltre al licenziamento sono arrivati sul capo del dipendente infedele anche
vari capi d'accusa, tra i quali l'appropriazione indebita, il furto aggravato
e, nei casi peggiori, la truffa. Se questo è il prezzo che è costretto a pagare
un semplice lavoratore per aver commesso un simile errore, non può essere che
un amministratore non debba risponderne. Dal punto di vista morale, anzi, il
caso dell'amministratore appare più grave. Perché il dipendente risponde solo
di sé stesso, mentre l'amministratore occupa il proprio posto in rappresentanza
della comunità dei cittadini. Quindi dovrebbe essere ben più responsabilizzato
di un qualsiasi tecnico comunale.
Si
tratta di cose ovvie che non si dovrebbero neppure ribadire, se non fosse per
l'inammissibile contegno esibito nella circostanza dai nostri amministratori.
Saltato il tappo al caso “benzinopoli”, ben documentato e circostanziato, la
reazione del sindaco e della sua maggioranza è stata quella tipica della
peggiore politica nazionale: arroccamento difensivo, scuse puerili e toni
minacciosi verso tutti coloro che hanno contribuito a scoperchiare la pentola.
Mentre la sola scelta dignitosa starebbe in una reale assunzione di
responsabilità. Chi ha sbagliato si dimetta e lasci l'amministrazione, per
salvaguardare almeno la credibilità del Comune di Volterra e il suo buon nome
di istituzione vicina ai cittadini. E' l'unica scelta corretta in simili casi.
Se poi l'interessato non dovesse provvedere in prima persona a cautelare la
credibilità del Comune, allora occorrerà che si muova il sindaco pretendendone
le dimissioni.
Poi
va da sé che l'indagine farà il suo corso e la magistratura deciderà nei
dettagli, entrando in un merito che alla politica non compete. A chi amministra
dovrebbero bastare le gravi inadempienze emerse e la dimostrata inadeguatezza
nella gestione della cosa pubblica per decidersi ad abbandonare il governo del
Comune. Per assumersi la propria responsabilità politica, basta e avanza.
Certo,
sappiamo che è di moda rifuggire le proprie responsabilità per delegare tutto
alla magistratura, confidando segretamente nella lentezza della giustizia
italiana. Ma sono scuse di carta velina, che alimentano un gioco allo sfascio
che non ci possiamo assolutamente più permettere. Ormai è sotto gli occhi di
tutti: l'Italia è tanto malmessa anche a causa di una classe politica in pieno
degrado, che schiva le proprie responsabilità tutte le volte che può. Almeno
qui a Volterra, in questa piccola comunità in cui gli interessi in gioco sono
più limitati, cerchiamo di dimostrare che un vago senso del pudore ancora
resiste.
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