Due settimane fa è andato in scena l'ennesimo
Consiglio Comunale aperto in materia di sanità senza interlocutore. Questo
potrebbe essere il riassunto di ciò che è accaduto in Palazzo dei Priori.
L’iniziativa era nata col trapelare di indiscrezioni sulla possibile
riorganizzazione dei centri riabilitativi Inail, che porrebbe in pericolo
l’importante polo riabilitativo volterrano.
Dopo la serie infinita di pesanti tagli e
accorpamenti che il comparto ospedaliero ha subito negli ultimi anni con
conseguente svuotamento dei servizi all’interno dell'ospedale, l’occasione
sarebbe stata particolarmente utile per confrontarsi su quello che è il modello
assunto dalla nostra regione in materia sanitaria. Un modello improntato sul
potenziamento dei grandi ospedali posti nei grossi centri urbani e il
progressivo svuotamento degli ospedali minori, declassati a Case della Salute o
a cronicari.
Una riorganizzazione che, ispirata da ragioni
economiche, guarda poco alla qualità dei servizi e si incentra sui risparmi di
spesa, e alla fine non riesce a realizzare neppure quelli.
Il modello adottato unilateralmente dalla
regione, tuttavia, sta mostrando le proprie criticità in molte direzioni. Da un
lato i piccoli ospedali come il nostro stanno diventando scatole vuote, dove
molto spesso i servizi restano attivi solo sulla carta, erogati a singhiozzo,
privati di reali investimenti e del personale necessario per restituire
standard di qualità adeguati. Senza contare che i pochi reparti rimasti hanno
subito talmente tante riorganizzazioni da rivelarsi ormai l’ombra di se stessi.
Come è capitato di recente all'Utic, oramai ridotto in spazi angusti e riempiti
fino all’inverosimile, caratterizzato da un turn-over di medici precarizzati,
che rimangono appena pochi mesi nel reparto prima di fuggire altrove.
Ma anche i grandi centri non stanno meglio.
Affollati e caotici, con liste di attesa impressionanti anche per i casi di
patologie potenzialmente pericolose, dove il rapporto medico-paziente rischia
di scivolare sul piano inclinato della pura burocrazia da sbrigare senza troppe
domande, tra dati statistici da interpretare in fretta, tempi risicati di
occupazione dei letti, esami contingentati e farmaci.
Si è
parlato spesso di riorganizzazioni necessarie e giustificate dai bassi numeri
dei piccoli ospedali, omettendo due particolari non proprio secondari. Il primo
è che il servizio sanitario dovrebbe essere un servizio pubblico, erogato
secondo il bisogno. Secondariamente i numeri dipendono quasi sempre dalla qualità
del servizio che si offre. Più il servizio è scarso e più le persone vanno
altrove. Chi dirige le danze in Regione lo sa bene, spingendo alla chiusura
subdolamente quelle strutture difese dalla popolazione.
Ma si sta
addirittura mettendo mano anche a centri i cui numeri sono assolutamente buoni,
come l’esempio di Inail Volterra
dimostra, che evidentemente hanno la pecca di essere localizzati in zone
periferiche e dunque non in linea con il modello pensato e voluto dalla
Regione, secondo il quale tutto deve stare al centro per massimizzare la
rendita elettorale delle proprie decisioni.
Se
l’Assessore Marroni avesse presenziato al Consiglio Comunale, come promesso,
alla fine questo, a nostro avviso, avrebbe dovuto essere l’argomento da
discutere. Rincorrere di volta in volta i tagli e gli accorpamenti decisi
altrove è doveroso, ma politicamente inutile. Ciò che non chiudono oggi, lo
faranno domani e senza troppi complimenti.
Molto più importante è cercare di agire a monte, costringendo la Regione
a ragionare con tutti i Comuni, grandi e piccoli, sul modello sanitario più efficiente ed utile. Di
sicuro il modello praticato attualmente ha peggiorato la situazione precedente,
scaricando disagi e costi direttamente sull’ammalato.
Progetto per Volterra