venerdì 20 dicembre 2013

Vietato dissentire

Nel Regolamento comunale istitutivo della Consulta del Sociale si legge: “E' costituita in Volterra la Consulta Comunale del Sociale, con funzioni consultive, di proposta e di stimolo per gli atti di competenza del Comune di Volterra nell'ambito delle attività sociali del territorio” (…).
Se l’attuale assessore al sociale Lonzi ha mai letto questo Regolamento avrà constatato che sono in perfetta coerenza con il programma elettorale della sua lista civica che si richiamava ai valori della partecipazione e condivisione delle decisioni. Un programma che la lista civica, dopo aver conquistato l'amministrazione comunale, ha calpestato in tutti i modi possibili. Si legge in quel programma elettorale che fu anche nostro: “E’ necessario ricostruire il rapporto tra elettori ed eletti per richiamare e convogliare tutte le energie disponibili sul territorio (…)”; e poco dopo il testo ribadisce: “l’obiettivo (è) cambiare modo di amministrare ricreando le condizioni per una effettiva partecipazione dei Cittadini alla cosa pubblica”. Chi siede nella Consulta del Sociale ha potuto rendersi conto di persona, come a suo tempo capitò a noi che sedevamo nella Giunta, di cosa in realtà pensi il sindaco Buselli (e i suoi attuali accoliti) della partecipazione e condivisione. La Consulta è stata in questi giorni più volte riunita per discutere l’andamento dei servizi offerti dagli sportelli (informagiovani, sportello stranieri e sportello casa). Nell'unico momento in cui ha potuto esprimersi all'unanimità ha disapprovato nettamente la proposta dall’amministrazione riguardante l’affidamento al S. Chiara di certi delicatissimi servizi finora ben condotti da altre associazioni, e il sindaco e l’assessore Lonzi hanno subito gettato la maschera. Nonostante il parere chiarissimo della Consulta, l'amministrazione Buselli va per la propria strada, e basta! Qualunque cosa pensino coloro che da anni lavorano e s'impegnano nel sociale è affar loro. Vaglielo a dire al Sindaco e alla Giunta che i membri di queste associazioni hanno il polso del disagio dei più deboli molto più di qualsiasi politico, ti risponderanno con un sorrisetto di commiserazione. A cosa serve, dunque, una Consulta il cui parere conta niente per sindaco e assessore al sociale? Evidentemente doveva servire per ratificare le decisioni prese altrove. Se avessero detto di sì alla proposta dell'amministrazione, allora ipocritamente sarebbero state sbandierate ai quattro venti i magnifici risultati della “condivisione”. Ma dal momento che la Consulta ha detto di no, allora è stata semplicemente ignorata. Insomma, partecipazione e condivisione per Buselli sono solo un mezzo buono per la propaganda, per ben figurare in campagna elettorale o durante studiati eventi-spot, ma da buttare a mare appena rivela una seppur piccola diversità di vedute. Ciò che si è consumato in questi giorni è un altro splendido esempio di vecchia politica, autarchica e arroccata su se stessa, che non ne vuol sapere niente del confronto democratico, che interpreta il proprio ruolo in modo furbastro senza voler rendere conto a nessuno. Si riproducono esattamente gli stessi difetti che si attribuiscono ai vecchi partiti. Aggravati dall'ostinato rifiuto a scendere sul piano del ragionamento, sostituito da un'overdose di arroganza. Per l’attuale Amministrazione la partecipazione dei cittadini non ha nulla a che vedere con la volontà di riceverne nuovi contributi per l’assunzione delle decisioni. Si celebra di volta in volta il rito del raduno, solo per il gusto della celebrazione di decisioni già prese altrove. Nel caso attuale, però, si sta veramente buttando al vento il lavoro di anni, speso per costruire con le associazioni di volontariato e gli altri organismi no-profit di utilità sociale una indispensabile rete dei servizi e più in generale il sistema integrato di interventi e servizi sociali. Il danno è fatto ormai, ci vorranno anni per rimediare.

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Diritti e sanità a picco

Lo scoop lo ha fatto Paolo Russo, giornalista de La Stampa, che domenica 8 dicembre ha pubblicato l'inedita lista dei piccoli ospedali da chiudere, già allestita dal Ministero della Salute. Sono 175 nel Paese, 12 nella nostra Regione e tra questi troviamo il S. Maria Maddalena, l’ospedale di Volterra a cui sono attribuiti 55 posti letto. L’articolo è stato ripreso da varie altre testate nei giorni successivi, che hanno amplificato la notizia dando il via a una serie di reazioni. Come sempre accade in questi casi, dopo la pubblicazione della lista nera degli ospedali da chiudere, sono seguite polemiche, rettifiche e smentite.
Al di là del solito chiasso, della propaganda e delle strumentalizzazioni, un punto ci pare evidente: la sanità pubblica da anni viene progressivamente aggredita, ridimensionata, disarticolata, secondo un programma generale che da lungo tempo viene calato dall’alto sulle nostre teste. Il numero delle strutture pubbliche ed equiparate viene costantemente defalcato, con velocità impressionante: da 942 strutture che erano nel 1997 su base nazionale, già nel 2009 erano ridotte a 638. La spesa sanitaria italiana (la spesa pubblica) risulta ormai del 21% inferiore al dato complessivo dell’Unione Europea. Naturalmente all’erosione della sanità pubblica corrisponde l’avanzamento della sanità privata e molti soggetti economici di primo piano spingono con forza in tal senso. I tagli hanno condotto il servizio sanitario di molte Regioni al collasso e non si tratta del solito Mezzogiorno, anche la regione Lazio è in ginocchio e il Piemonte segue a ruota. Altre Regioni, tra le quali la Toscana, finora in qualche modo hanno tenuto, ma siamo ormai al limite.
PD e Forza Italia su questo tema non sono uguali, ma rivelano comunque una vicinanza d’intenti assai più spiccata di quanto vogliano far apparire. Non a caso la lista dei piccoli ospedali da chiudere, pubblicata pochi giorni fa, è stata elaborata dal governo delle larghe intese. Chi conserva un briciolo di memoria ricorderà che poco più di un anno fa, con Monti Presidente del Consiglio sostenuto da PD, PDL e UDC, saltò fuori la solita ricetta: chiudere gli ospedali con meno di 100 posti letto perché “costosi e pericolosi”.
Berlusconi nel 2008, quando si sentiva ben in saldo sulla sella, lo disse chiaramente al congresso dei Liberali Popolari di Todi: “Per diminuire la spesa la soluzione è il federalismo fiscale e la privatizzazione di molti ospedali pubblici”. Con quale credibilità il neonato circolo volterrano “Forza Italia, Forza Silvio” può dirsi difensore della sanità pubblica in Toscana? E' un mistero. Poi, va da se, che il solito, inveterato gioco delle parti consista nel cavalcare il malessere a Regioni alternate, per raccattare comunque il voto degli sprovveduti: il PD s’indigna per i tagli alla sanità in Piemonte e in Lombardia, mentre il centrodestra si straccia le vesti per la medesima ragione in Toscana e in Emilia. Quanto a Renzi, al 42° posto nei suoi famosi 100 punti programmatici della Leopolda (qualcuno li ha letti?), si afferma testualmente: “chiudere gli ospedali con meno di 100 posti letto”.
Il quadro, dunque, per chi ha ancora una testa per pensare è chiaro e allarmante: ormai siamo al limite ma questi partiti non se ne danno per intesi. Se in una famiglia a medio-basso reddito qualcuno oggi si ammala di un morbo grave e cronico, al disastro in termini di salute si aggiunge il tracollo economico per tutto il nucleo familiare. Segnaliamo a questo riguardo la bella inchiesta condotta Michele Farina sul Corriere.it relativa ai malati di Alzheimer e ai loro familiari, in cui è illustrata in 4 puntate l’odissea a cui sono sottoposte oggi circa un milione di famiglie in Italia, quasi nell'indifferenza delle istituzioni. Di queste cose bisogna ricominciare a ragionare, senza farsi incantare dai professionisti dallo slogan facile. E serve anche una politica diversa da quella che più o meno furbescamente ci stanno proponendo da oltre 20 anni, che torni a parlare di diritti dei cittadini, di ripartizione del benessere e di riduzione delle disuguaglianze.

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La strada che sprofonda

La scorsa settimana, durante una sola notte, comparve l'ennesima, profonda buca sulla strada di Santo Stefano. Non un semplice avvallamento dell'asfalto ma proprio una fossa, profonda circa 60cm che inghiottì immediatamente un pezzo di asfalto grande quanto la ruota di un'automobile. Il fenomeno non è nuovo, all'inizio estate nel giro di poche settimane si aprirono improvvisamente due voragini quasi all'altezza del circolo Arci La Punta. La causa dello “strano” fenomeno è chiara da tempo sia agli addetti ai lavori che ai residenti. La fognatura passante al di sotto della strada è ridotta un colabrodo e le acque nere, disperdendosi abbondantemente in più punti, lavorano sotto l'asfalto portando via progressivamente sempre più il terreno, finché anche lo strato di bitume soprastante cede di schianto, scoprendo buche profonde oltre mezzo metro nel terreno sottostante.
Finora, per quanto ne sappiamo, nessuno si è fatto del male e nessun mezzo è ancora inavvertitamente incappato in queste “trappole”, ma è chiaro che il rischio è concreto e subdolo. Può bastare infatti la minima di distrazione del conducente perché un motorino o un'automobile centrino col pneumatico la buca di oltre mezzo metro invisibile fino al giorno prima per incappare conseguenze davvero poco simpatiche.

Dunque, rattoppare il singolo buco come è stato fatto finora non incide sul problema di fondo, che può essere realmente affrontato solo mettendo mano a questo ramo della pubblica fognatura nel suo insieme, ormai è vetusto e irrimediabilmente fatiscente. La questione è urgente perché trascurando ancora il problema c'è il rischio che, prima o poi, compaiano oltre ai dissesti stradali anche conseguenze igienico-sanitarie dovute al continuo sversamento dei reflui fognari non depurati.

Chi passa da S. Stefano solo una volta ogni tanto probabilmente non ha l'esatta percezione del problema, però, chiunque nota che la strada si presenta ormai sconnessa da cima a fondo e penosamente piena di rattoppi. Tanto è vero che spesso la questione viene sollevata per ragioni di viabilità. Lo scorso novembre un cittadino tornò ad evidenziare le cattive condizioni in cui versa la strada, approfittando di un social network, per la precisione di “Radio Web Volterra”. Prontamente arrivò sul web la rassicurante replica del membro di zona del Consiglio di Sorveglianza Asa, Marcello Cinci, che in poche righe annunciò testualmente l'imminenza: “a brevissimo di un importante intervento di manutenzione delle fogne da parte di Asa con la partecipazione del Comune per la rimozione della causa e la sistemazione stradale”. Dato che l'affermazione in termini così netti proviene da fonte qualificata interna ad Asa, vogliamo sperare che non si tratti di uno dei mille e più annunci sparati a vuoto in questi ultimi anni sia dal Comune di Volterra che da Asa. Tuttavia, anche alla buca della scorsa settimana è stato risposto riproponendo il solito metodo del rattoppo, mentre aspettiamo ancora l'intervento finalmente risolutivo annunciato “a brevissimo”.
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venerdì 13 dicembre 2013

Effetto domino

Negli ultimi tempi è balzata agli onori della cronaca la riorganizzazione dei servizi sociali offerti dai cosiddetti sportelli, in maniera particolare dello Sportello Informagiovani e dello Sportello Stranieri. Negli anni scorsi la scelta dei 4 comuni della Alta Val di Cecina cadde su una gestione associata con un unico gestore per tutta la zona, scelto tra le associazioni di volontariato o del terzo settore. Questa tipologia di organizzazione ha avuto il vantaggio di limitare le spese, offrendo una gestione omogenea del servizio per tutto il territorio. Dal 2009 ad oggi si sono tuttavia susseguite molteplici frizioni politiche tra i quattro comuni dell'Alta Val di Cecina e con esse abbiamo assistito al tramonto delle politiche di zona, in favore di “scelte particolaristiche”. Volterra e Castelnuovo hanno deciso di stare insieme nella gestione associata dell'urbanistica e dei servizi scolastici mentre Pomarance, Montecatini e Monteverdi hanno formato l’Unione dei Comuni ereditando le deleghe della estinta Comunità Montana più altre gestioni associate. Un esempio significativo degli effetti deleteri, almeno per il Comune di Volterra, di queste scelte è proprio la gestione degli sportelli. Lo sportello Informagiovani di Volterra è stato affidato dal 2012 al S. Chiara. Il costo per il 2013 è previsto in € 16.577 contro una spesa nel 2010 era di circa € 5.700. Pomarance, invece, che nel 2010 spendeva circa € 1.200 quest’anno non spenderà nulla perché ha aderito al progetto regionale GiovaniSì, aprendo un nuovo Infopoint e ricevendo un finanziamento di € 10.000. Veniamo poi alla qualità dei servizi erogati. Fino al 2010 l’Informagiovani oltre all'apertura fisica al pubblico era dotato di un portale informatico dedicato ai giovani attivo sull’intera Valdicecina, assai utile visto che i ragazzi sono naturalmente più a loro agio con questo strumento. Oggi l’ufficio Informagiovani di Volterra non ne ha più, mentre Pomarance, in virtù della sua adesione al progetto GiovaniSì, ha un suo portale nuovo di zecca aggiornato e moderno. Infine, merita un cenno il drastico calo dell'utenza, logica conseguenza dell'impoverimento del servizio. L’ultima relazione risalente alla gestione associata, curata dal precedente gestore, del marzo 2010, riferisce di 2.954 contatti da parte degli utenti in un anno nella sola Volterra. La relazione del 4 aprile 2013 del nuovo gestore (S. Chiara), riferisce che solo 3 o 4 persone si presentano allo sportello per ogni apertura. Un breve calcolo matematico….e si può concludere che essendo aperto 3 volte la settimana, i contatti sono precipitati a 627 all'anno. Per un calo del 450% circa! Nonostante i numeri evidenzino quindi il fallimento della scelta fatta dal Comune di Volterra, sia in termini economici che di servizio, di recente si è proposto di replicare l’esperimento con lo sportello immigrati. Ufficio evidentemente molto delicato per la natura delle pratiche di cui si occupa e anche per la situazione particolare degli utenti. Dopo un tentativo inascoltato esercitato dalle minoranze in Consiglio Comunale, sono intervenute le associazioni del settore sociale riunite nella Consulta a stoppare l’iniziativa del duo Buselli-Lonzi. La discussione non è stata pacifica, tanto che sono arrivate perfino le dimissioni del Presidente della Consulta, Pierluigi Dei, persona molto sensibile ai problemi del sociale e di norma poco incline ai gesti clamorosi. Nonostante ciò la questione rimane comunque sempre aperta e dagli esiti incerti. Ma perché l’amministrazione comunale pur messa di fronte al fallimento delle sue scelte dimostra di voler insistere ancora nell'errore? La risposta è chiara. Perché nell'affidare un servizio l’amministrazione non ragiona pensando a cosa è meglio per l’utenza, ma è tutta concentrata sul soggetto al quale desidera indirizzare i denari previsti per quell’affidamento. Così facendo svilisce e depaupera servizi che richiedono adeguata specializzazione, e non fa del bene neppure al S. Chiara. Perché affidando all'azienda piccole mansioni di poco prezzo che oltretutto non sa svolgere, finisce per disperdere in rami improduttivi le energie dei suoi dipendenti, senza restituirle benefici economici apprezzabili. Servirebbe, invece, concentrare le forze disponibili su progetti di peso e credibili, vicini alla vocazione tradizionale dell'azienda. Procedendo come ha fatto finora, cioè affrontando i problemi d’impeto e senza il minimo discernimento, l’amministrazione produce un effetto domino. Ovvero butta nel gorgo della sua azienda in profonda crisi tutta una serie di altri servizi sociali finora efficienti, finendo per demolirli uno ad uno. Senza aver minimamente contribuito ad arrestare l’emorragia di bilancio di un S. Chiara in perenne crisi economica.

Progetto Originario  

venerdì 6 dicembre 2013

La scuola dei creativi

La storia della chiusura della scuola di Villamagna si arricchisce di settimana in settimana e porta alla luce nuovi risvolti. Apice della vicenda la delibera di Giunta del 5 novembre 2013, nella quale viene inserita la scuola tra le strutture colpite dall'alluvione del 24 ottobre. Decisione discutibile per non dire anomala, perché quel giorno nella frazione l'acqua caduta è riuscita a malapena a bagnare il terreno. Pochi giorni dopo, come consiglieri comunali di PO, abbiamo effettuato un accesso agli atti per visionare eventuali documenti tecnici su cui poggiassero le reali motivazioni della chiusura, chiedendo al funzionario responsabile del settore tecnico di prendere visione di tutta la documentazione sulla scuola. Ci venne fornito un elaborato con alcune schede per il monitoraggio statico degli elementi non strutturali della scuola di Villamagna datato luglio 2009. Il documento segnalava alcune possibili criticità e la necessità di un approfondimento per “la conoscenza meccanica del paramento murario portante”.Considerato che al 31 dicembre 2010 le amministrazioni pubbliche avrebbero dovuto effettuare puntuali verifiche sismiche sugli edifici pubblici strategici, abbiamo chiesto al funzionario anche gli studi eseguiti per adempiere a quel dispositivo di legge. Ci venne risposto che non era stato fatto nient'altro e che tutto il materiale disponibile consisteva in quello studio preliminare di monitoraggio che ci aveva appena consegnato.
L'intervento che scrissi per la stampa un paio di settimane fa in proposito della scuola di Villamagna ovviamente prendeva le mosse da quella risposta che ricevemmo dal responsabile dell'Ufficio Tecnico. La settimana successiva, però, su questo settimanale mi rispose l'ex dirigente del comune, l'ing. Luigi Bianchi, sostenendo, contrariamente a quanto affermato dal funzionario attuale, che l'incarico per le verifiche sismiche non solo era stato affidato ma che erano stati fatti anche studi più approfonditi, che le scuole erano state tutte schedate e che i documenti erano in possesso dell'amministrazione tra la fine del 2010 e l'inizio del 2011. Siccome ho sempre apprezzato la gestione dell'ufficio tecnico da parte dell'ing. Bianchi, sapendo che non avrebbe mai scritto una cosa per un'altra, sono ritornato assieme ai colleghi del gruppo in Comune per dirimere una volta per tutte la questione. Non senza difficoltà siamo riusciti a reperire il materiale di cui parlava Bianchi nel suo intervento: i documenti ci sono e l'ex dirigente aveva ragione. Allora delle due l'una: o il funzionario responsabile dell'ufficio tecnico non conosce la documentazione a sua disposizione, oppure ha evitato volontariamente di mostrarci i documenti richiesti. A voi la risposta, tenendo conto che nella seconda fattispecie l'espressione tecnica da impiegare sarebbe “omissione di atti d'ufficio”.
La vicenda si è complicata ulteriormente quando abbiamo appreso che la scuola di Villamagna, oltre ad essere stata segnalata dalla Giunta tra le strutture danneggiate da un'alluvione che lì non è arrivata, veniva chiamata in causa utilizzando la sua chiusura straordinaria come giustificazione dell'esproprio urgente dei terreni destinati al futuro asilo nido previsto in località L'Ortino (quale sia il nesso logico tra un asilo nido e una scuola dell'infanzia è un mistero ancora da sciogliere). In sintesi, verrebbe da pensare che l'amministrazione comunale abbia provato a intercettare i fondi destinati a chi è stato realmente colpito dall'alluvione per sanare una scuola che sapeva da tempo essere strutturalmente vulnerabile, per consolidare la quale nulla ha fatto in 4 anni. Dulcis in fundo adesso vorrebbe perfino utilizzare la chiusura della scuola per forzare i tempi di un cantiere che poteva essere regolarmente aperto programmando meglio i lavori di un progetto approvato da oltre un anno, mettendo così seriamente a rischio il finanziamento regionale per l'asilo.
Entrare a gamba tesa nella vita di 30 bambini, costringendoli a lunghe trasferte quotidiane, è un aspetto che preferisco non commentare per evitare di aggiungere altre spese legali a carico dei cittadini. Comunque si tratta di un bell'esempio di amministrazione “creativa”, ovvero quando l'improvvisazione sostituisce impegno e competenza.

Luigi Cocucci, Progetto Originario

Il confronto e lo scontro

Sono condivisibili le ragioni della manifestazione che si svolgerà a Firenze sabato 7 dicembre in difesa della sanità e per il diritto alla salute. Da anni, a fronte della contrazione delle risorse economiche disponibili, le scelte nella riorganizzazione di tutti i servizi più essenziali stanno andando nella direzione del progressivo accentramento dei punti di erogazione, accompagnato della contrazione dei servizi e dall'introduzione di tickets e prestazioni a pagamento. In questo complesso processo di revisione del sistema sanitario vi sono indubbiamente fattori di penalizzazione delle zone più periferiche, che progressivamente stanno perdendo servizi sia in termini di numero di prestazioni che di qualità.
Il tema della sanità a Volterra è un tema di grande importanza per il ruolo centrale che il nostro presidio ospedaliero svolge per la zona. E' indubbio che la politica dei tagli si è abbattuta anche qui da noi, basti ricordare quelli più recenti: dal 2009 ad oggi abbiamo perso il punto nascita e la pediatria, abbiamo subito il forte ridimensionamento del laboratorio analisi e l’accorpamento forzato di cardiologia a medicina. Riorganizzazioni subite nonostante che il sindaco ci rassicurasse annunciando la firma di volta in volta o di un protocollo o di un patto territoriale salvifico.
In materia di sanità dobbiamo constatare purtroppo il fallimento sia della politica remissiva del passato che di quella propagandistica e strillata del presente. Probabilmente è sempre mancato, sia prima che adesso, un confronto serio con la Regione cercando mirato a trovare un punto di incontro tra le esigenze delle parti.
Negli ultimi 4 anni non vi è stato un solo momento di confronto leale su questa materia così delicata. Perfino il tentativo di aprire un dialogo con l’Assessore Regionale Marroni in sede consiliare, richiesto all’unanimità da tutte le forze politiche, è sfumato prima ancora di cominciare per dare libero sfogo alla smania di visibilità del sindaco. Si è preferito organizzare un’iniziativa di protesta con tutte le associazioni, le amministrazioni colpite dalla riforma e un folto drappello di consiglieri regionali eletti con la lega nord, anziché portare a compimento almeno un tentativo di confronto tra le istituzioni della Val di Cecina col nuovo assessore alla sanità in Regione. Per un giorno il titolone sul giornale è stato conquistato, ma desolatamente solo quello. Sprecata la prima, non c'è stata una seconda occasione di confronto.
La rinuncia in partenza da parte dell'amministrazione comunale al proprio ruolo istituzionale, preferendo sempre giocare su due tavoli, ha prodotto i risultati fallimentari che abbiamo sotto gli occhi. Si protesta ma allo stesso tempo si firmano gli accordi con la Asl; si proclama di aver salvato l’ospedale, per poi sfilare pochi giorni dopo con la fascia tricolore alla manifestazione contro i tagli. Da anni viene portato avanti un comportamento ambiguo che da un lato insospettisce chi crede nelle ragioni della protesta e dall’altro priva il sindaco e l'amministrazione comunale di qualsiasi credibilità politica con i suoi interlocutori istituzionali.
Dunque, nonostante evidenti strumentalizzazioni da parte dei partiti della destra, quest'ultima protesta è legittima e giustificata. Ma è indubbio che, se vogliamo ottenere qualche risultato concreto per la zona, occorre anche e prima di tutto riconquistare il credito che l'amministrazione comunale ha perso durante questi anni.

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Flessibili, infiammabili

Quanti giorni di attenzione potranno dedicare i media ai sette morti nel rogo dell'azienda tessile di Prato? Trenta secondi al giorno per cinque o sei giorni, forse. Una milionesima parte del tempo dedicato alla decadenza di Berlusconi dal suo seggio in senato, mille volte meno del tempo dedicato ad un goal di Kakà, cento volte meno del giubbotto di pelle di Renzi e indubbiamente molto meno tempo di quello dedicato a Dudù, il cagnetto che scorrazza nei corridoi di palazzo Grazioli. Un secolo fa - ma erano altri tempi - un altro incendio, avvenuto in un'altra fabbrica tessile, a New York, divenne un caso internazionale da cui presero avvio nuove leggi sulla sicurezza sul lavoro e fornì lo slancio per una più solida coscienza sindacale, tanto che la sua ricorrenza è ancora ricordata in gran parte del mondo come festa dei lavoratori, ogni primo maggio.
Di sicuro erano altri tempi, i diritti erano in fase di espansione, andavano diffondendosi le idee socialiste e molti giornalisti avevano coscienza del proprio ruolo nella formazione della nascente “opinione pubblica delle nazioni”.
Oggi, invece, i giornali sono in mano ai principali gruppi economici e bancari e così i giornalisti che vi lavorano, i diritti delle persone vengono continuamente erosi e l'unico credo politico universale è il pensiero unico del grande capitale. Un credo a cui fa comodo lo svilimento più barbaro del lavoro. Più crescono disperazione e miseria nel mondo, migliori sono le condizioni a cui possono attingere forza lavoro. Chi non ha diritti può solo svendere se stesso, il suo tempo, la sua salute, la sua sicurezza. Le persone che sono morte bruciate nel rogo del capannone di Prato sono lavoratori ideali. Tanto flessibili da rimanere sul posto di lavoro giorno e notte per un compenso da fame, in attesa di riscattare il costo del proprio viaggio della speranza e della propria libertà, che forse un giorno arriverà. Non credo che si tratti di realtà ignote alle autorità. L'azienda in questione era iscritta alla camera di commercio ed è solo una delle tante: circa 5.000, solo nella provincia di Prato. Quando si vuole i controlli si riescono a fare, un ristorante dopo l'altro, un bar dopo l'altro, in cerca di un bagno senza antibagno, di un piano di lavoro di un metallo che non sia acciaio inox, di un'ombra di polvere sopra il frigo. Non si vedono solo perché non si vogliono vedere intere zone industriali, con capannoni estesi per migliaia di metri quadrati e soppalchi suddivisi in loculi come alveari, dove dormono gli schiavi dei nostri giorni. Perché questo tipo di lavoro è il nuovo modello che funziona a cui dobbiamo tendere, generatore di ricchezza per pochi e sottomissione per molti. E' la benzina che già da anni manda avanti il settore della moda italiana, anche quella di extra lusso. E quei lavoratori cinesi così docili, flessibili, disperati sono un modello anche per tanti dei nostri, che “vivono al di sopra delle loro possibilità”. Peccato solo s'ostinino a rimanere infiammabili. Neanche fossimo ai primi del '900.


Fabio Bernardini, Progetto Originario