Quanti
giorni di attenzione potranno dedicare i media ai sette morti nel
rogo dell'azienda tessile di Prato? Trenta secondi al giorno per
cinque o sei giorni, forse. Una milionesima parte del tempo dedicato
alla decadenza di Berlusconi dal suo seggio in senato, mille volte
meno del tempo dedicato ad un goal di Kakà, cento volte meno del
giubbotto di pelle di Renzi e indubbiamente molto meno tempo di
quello dedicato a Dudù, il cagnetto che scorrazza nei corridoi di
palazzo Grazioli. Un secolo fa - ma erano altri tempi - un altro
incendio, avvenuto in un'altra fabbrica tessile, a New York, divenne
un caso internazionale da cui presero avvio nuove leggi sulla
sicurezza sul lavoro e fornì lo slancio per una più solida
coscienza sindacale, tanto che la sua ricorrenza è ancora ricordata
in gran parte del mondo come festa dei lavoratori, ogni primo maggio.
Di
sicuro erano altri tempi, i diritti erano in fase di espansione,
andavano diffondendosi le idee socialiste e molti giornalisti avevano
coscienza del proprio ruolo nella formazione della nascente
“opinione pubblica delle nazioni”.
Oggi,
invece, i giornali sono in mano ai principali gruppi economici e
bancari e così i giornalisti che vi lavorano, i diritti delle
persone vengono continuamente erosi e l'unico credo politico
universale è il pensiero unico del grande capitale. Un credo a cui
fa comodo lo svilimento più barbaro del lavoro. Più crescono
disperazione e miseria nel mondo, migliori sono le condizioni a cui
possono attingere forza lavoro. Chi non ha diritti può solo svendere
se stesso, il suo tempo, la sua salute, la sua sicurezza. Le persone
che sono morte bruciate nel rogo del capannone di Prato sono
lavoratori ideali. Tanto flessibili da rimanere sul posto di lavoro
giorno e notte per un compenso da fame, in attesa di riscattare il
costo del proprio viaggio della speranza e della propria libertà,
che forse un giorno arriverà. Non credo che si tratti di realtà
ignote alle autorità. L'azienda in questione era iscritta alla
camera di commercio ed è solo una delle tante: circa 5.000, solo
nella provincia di Prato. Quando si vuole i controlli si riescono a
fare, un ristorante dopo l'altro, un bar dopo l'altro, in cerca di
un bagno senza antibagno, di un piano di lavoro di un metallo che non
sia acciaio inox, di un'ombra di polvere sopra il frigo. Non si
vedono solo perché non si vogliono vedere intere zone industriali,
con capannoni estesi per migliaia di metri quadrati e soppalchi
suddivisi in loculi come alveari, dove dormono gli schiavi dei nostri
giorni. Perché questo tipo di lavoro è il nuovo modello che
funziona a cui dobbiamo tendere, generatore di ricchezza per pochi e
sottomissione per molti. E' la benzina che già da anni manda avanti
il settore della moda italiana, anche quella di extra lusso. E quei
lavoratori cinesi così docili, flessibili, disperati sono un modello
anche per tanti dei nostri, che “vivono al di sopra delle loro
possibilità”. Peccato solo s'ostinino a rimanere infiammabili.
Neanche fossimo ai primi del '900.
Fabio
Bernardini, Progetto Originario
Nessun commento:
Posta un commento