La recente
vicenda della Smith e gli ultimi avvenimenti accaduti nella fabbrica di Saline
di Volterra danno lo spunto per un ragionamento più ampio sul diritto al lavoro.
Fino agli anni
‘90 nessun governo avrebbe aggredito il sistema delle tutele del lavoro, perché era opinione comune che un nucleo di garanzie
a favore dei lavoratori fosse indispensabile per bilanciare la disparità
sostanziale di forza che separa il datore e lavoratore, sia sul mercato del
lavoro e sia nell’impresa. La debolezza del lavoratore è correlata anzitutto
all’essere il suo salario fonte esclusiva, o prevalente, di sostentamento per
lui e la sua famiglia, così da costringerlo a cercare/trovare con urgenza e in
ogni caso un posto retribuito: pena la fame. Questo semplice dato di fatto pone
il lavoratore in uno stato di grave inferiorità nel momento in cui deve
trattare con il datore condizioni e termini della sua assunzione o permanenza
in azienda. La disparità oggettiva si è aggravata in un contesto di forte
disoccupazione, all’interno di un mercato altamente concorrenziale. Una
debolezza che può accentuarsi anche nel corso del rapporto di lavoro, dove il
potere disciplinare e direttivo di cui è fornito il datore non fanno che
ribadire la disparità tra le due posizioni. Ecco perché il diritto del lavoro,
tradizionalmente inteso, è nato per riportare un minimo di equilibrio tra
deboli e forti, nella conclusione del contratto e nella conduzione del rapporto,
imponendo diritti minimi sottratti alla libera disponibilità dei contraenti.
Questi
principi, che sono stati per anni il fondamento del diritto del lavoro, sono da
un ventennio sistematicamente aggrediti ed erosi da riforme e riformine che partono
da un ragionamento completamente ribaltato: il soggetto da tutelare è
l’impresa, considerata il motore e totem dell’economia, mentre l’uomo che vi
lavora ha perso di valore, diventando completamente intercambiabile. Si dice
che l’impresa, e più ancora se è multinazionale, per rimanere sul mercato in
tempi di crisi non può sostenere un costo del lavoro troppo alto e “pagare il
prezzo” del riconoscimento di alcuni diritti (considerati “privilegi”) ai
lavoratori, come quello di essere reintegrati nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo (art. 18
dello Statuto dei lavoratori). La semplice cronaca di come si sta comportando
la multinazionale Schlumberger nella trattativa che coinvolge i lavoratori
Smith è, però, la riprova di come l’impresa, anche in tempi di crisi, non sia
affatto debole nel rapporto con i lavoratori e, anzi, possegga una forza
contrattuale sproporzionata, usata senza troppi complimenti per raggiungere i
propri scopi e imporre la propria volontà su quelle di 193 lavoratori e delle
loro famiglie.
Il resto è la
cronaca di una condotta provocatoria, iniziata con la comunicazione della
chiusura di un’azienda, radicata da decenni su di un territorio, con un
preavviso di soli 75 giorni, senza ritenere neppure doveroso un confronto
preventivo con organizzazioni sindacali e le istituzioni del territorio. Una
linea proseguita con l’apertura di tavoli di trattativa, senza neppure revocare
la messa in mobilità dei lavoratori, con appuntamenti che vengono
sistematicamente rimandati all’ultimo momento in ossequio alla tattica del
gatto e il topo. Per ultimo siamo arrivati a misure come la messa in libertà
dei lavoratori, che lungi dall’essere una forma di reazione alla mobilitazione degli
operai, ha il sapore di una intimidazione vera e propria.
Non sono
bastati il coinvolgimento di comuni, regione e governo uniti alla mobilitazione
di tutte le varie componenti della società, a mitigare la durezza di certi
atteggiamenti o a indurre ad un ripensamento. Non vi è neppure lontanamente
l’ombra di un confronto diretto e franco fra datore e lavoratori, che sia
sfiorato dal bisogno di tutela del lavoro per ragionare da questo presupposto su
tutto il resto. L’impresa ha posto al centro del suo obiettivo l’accrescimento
immediato del profitto, rivendicando la libertà di scegliere come raggiungerlo,
relegando ai margini il lavoro, così come da anni predicano anche i principali governi
in Italia e in Europa. Così, di fatto, le multinazionali impongono la propria mentalità
e le proprie priorità a tutte le altre componenti della società, senza
interlocutori e senza più discussioni. Di fronte a vicende così penose, di cui
quella della Smith è solo un esempio tra le centinaia diffuse in tutto il Paese,
perché insistere a votare politici che fin dal loro primo atto accelerano lo
smantellamento delle residue tutele del mondo del lavoro?
Progetto per Volterra
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