venerdì 12 settembre 2014

L'acciaio e la latta

Quello compiuto alla fine di agosto è stato il secondo sciopero della fame intrapreso da Paolo Francini, dal 1980 lavoratore alle acciaierie di Piombino. Francini è conosciuto anche dalle nostre parti per essere lo storico coordinatore del Tavolo per la Pace della Val di Cecina ed ex assessore al Comune di Castagneto, che alcuni anni fa si dimostrò capace di lasciare la maggioranza di centrosinistra in contrasto con un'amministrazione fin troppo disinvolta nel cementificare la Costa degli Etruschi.
Nella palude silenziosa della rassegnazione di istituzioni e sindacati, per tentare di rimettere al centro dell'attenzione l'annoso dramma dell'acciaieria di Piombino, Paolo Francini ha ripreso – in solitudine - la sua protesta pacifica, scrivendo contemporaneamente al presidente del consiglio Renzi, al presidente della Regione Rossi e al segretario nazionale della Fiom Landini.
Il suo è l'estremo tentativo di una persona che non si rassegna a lasciar decantare nell'indifferenza più desolante la crisi drammatica dello stabilimento ex Lucchini. Dopo lo spegnimento dell’altoforno, di recente è stata fermata la cokeria e presto sarà la volta anche degli altri impianti. L'analisi di Paolo Francini è perfino ovvia: non ci può essere un futuro per i duemila lavoratori della Lucchini se non si tornerà a produrre acciaio a Piombino. Dopo varie ipotesi, infatti, pare che la Lucchini stia per passare nelle mani del gruppo indiano Jindal, che rileverebbe l'azienda, operando fin dall'inizio un taglio di 1500 lavoratori. Potrà sembrare strano che in una simile situazione non vi siano i sindacati e centinaia di colleghi ad affiancare con la forza dei numeri Francini, ma la paralisi è la metafora più azzeccata della società italiana di questi anni. Piombino sembra rassegnata al fatto che la siderurgia finisca per risolversi con un residuo impianto per 700 occupati (per quanto tempo ancora?), mentre la gran parte dei lavoratori finirà nel buio più assoluto. Anche il rischio che a dicembre finiscano i soldi per il finanziamento dei contratti di solidarietà non smuove le coscienze, né il dramma dell'inevitabile licenziamento di moltissimi lavoratori dopo la parentesi di una cassa integrazione a salario ridotto. Lo sciopero della fame di Francini è rimbalzato su alcuni giornali, ma non ha indotto il governo ad intervenire direttamente nella crisi della Lucchini. Eppure di fronte ad un dramma di queste proporzioni uno stato che ha posto il lavoro nel primo articolo della propria Costituzione non dovrebbe poter restare indifferente; pena la totale perdita di ogni sua residua credibilità.
Noi volterrani sappiamo cosa significhi per una cittadina che ha vissuto per più di un secolo grazie ad una monocultura perdere all'improvviso il proprio centro di gravità. Per Volterra fu una specie di suicidio aver accettato la chiusura dell'ospedale psichiatrico, senza mettere il governo dell'epoca di fronte al dramma della cancellazione di 2.000 posti di lavoro con tutte le prevedibilissime ricadute sociali che ne sarebbero derivate. Perfino la tristemente nota Ilva di Taranto, con tutto il suo luttuoso carico di tumori, oggi non può essere chiusa d'un colpo, senza studiare alternative in termini di posti di lavoro. Perché la città sarebbe destinata a seguire a ruota le sorti della sua fabbrica. Dunque, le istituzioni nazionali e regionali dovrebbero scendere in campo per difendere anche l'acciaieria di Piombino, che resta il secondo polo siderurgico d'Italia. Ma, ad uno sguardo più attento, ci rendiamo conto che i partiti al governo delle principali istituzioni sono fortemente corresponsabili per la situazione attuale, ed è ingenuo da parte nostra aspettarsi rimedi da coloro che hanno provocato il disastro. L'acciaieria fu privatizzata agli arbori della seconda repubblica (inizi anni '90), quando i principali partiti decisero di abbandonare alle sole leggi del mercato praticamente tutte le dinamiche economiche nazionali. Oggi, soltanto per poter pensare di iniziare a riparare i danni, dovremmo cominciare mandando definitivamente a casa quei partiti che sono i maggiori artefici del disastro e che ancora adesso tengono in mano le redini di questo sciagurato Paese, sempre più traballante.


Progetto per Volterra

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