Quello
compiuto alla fine di agosto è stato il secondo sciopero della fame
intrapreso da Paolo Francini, dal 1980 lavoratore alle acciaierie di
Piombino. Francini è conosciuto anche dalle nostre parti per essere
lo storico coordinatore del Tavolo per la Pace della Val di Cecina ed
ex assessore al Comune di Castagneto, che alcuni anni fa si dimostrò
capace di lasciare la maggioranza di centrosinistra in contrasto con
un'amministrazione fin troppo disinvolta nel cementificare la Costa
degli Etruschi.
Nella
palude silenziosa della rassegnazione di istituzioni e sindacati, per
tentare di rimettere al centro dell'attenzione l'annoso dramma
dell'acciaieria di Piombino, Paolo Francini ha ripreso – in
solitudine - la sua protesta pacifica, scrivendo contemporaneamente
al presidente del consiglio Renzi, al presidente della Regione Rossi
e al segretario nazionale della Fiom Landini.
Il
suo è l'estremo tentativo di una persona che non si rassegna a
lasciar decantare nell'indifferenza più desolante la crisi
drammatica dello stabilimento ex Lucchini. Dopo lo spegnimento
dell’altoforno, di recente è stata fermata la cokeria e presto
sarà la volta anche degli altri impianti. L'analisi di Paolo
Francini è perfino ovvia: non ci può essere un futuro per i duemila
lavoratori della Lucchini se non si tornerà a produrre acciaio a
Piombino. Dopo varie ipotesi, infatti, pare che la Lucchini stia per
passare nelle mani del gruppo indiano Jindal, che rileverebbe
l'azienda, operando fin dall'inizio un taglio di 1500 lavoratori.
Potrà sembrare strano che in una simile situazione non vi siano i
sindacati e centinaia di colleghi ad affiancare con la forza dei
numeri Francini, ma la paralisi è la metafora più azzeccata della
società italiana di questi anni. Piombino sembra rassegnata al fatto
che la
siderurgia finisca per risolversi con un residuo impianto per 700
occupati (per quanto tempo ancora?), mentre la gran parte dei
lavoratori finirà nel buio più assoluto. Anche il rischio che a
dicembre finiscano i soldi per il finanziamento dei contratti di
solidarietà non smuove le coscienze, né il dramma dell'inevitabile
licenziamento di moltissimi lavoratori dopo la parentesi di una cassa
integrazione a salario ridotto. Lo sciopero della fame di Francini è
rimbalzato su alcuni giornali, ma non ha indotto il governo ad
intervenire direttamente nella crisi della Lucchini. Eppure di fronte
ad un dramma di queste proporzioni uno stato che ha posto il lavoro
nel primo articolo della propria Costituzione non dovrebbe poter
restare indifferente; pena la totale perdita di ogni sua residua
credibilità.
Noi
volterrani sappiamo cosa significhi per una cittadina che ha vissuto
per più di un secolo grazie ad una monocultura perdere
all'improvviso il proprio centro di gravità. Per Volterra fu una
specie di suicidio aver accettato la chiusura dell'ospedale
psichiatrico, senza mettere il governo dell'epoca di fronte al dramma
della cancellazione di 2.000 posti di lavoro con tutte le
prevedibilissime ricadute sociali che ne sarebbero derivate. Perfino
la tristemente nota Ilva di Taranto, con tutto il suo luttuoso carico
di tumori, oggi non può essere chiusa d'un colpo, senza studiare
alternative in termini di posti di lavoro. Perché la città sarebbe
destinata a seguire a ruota le sorti della sua fabbrica. Dunque, le
istituzioni nazionali e regionali dovrebbero scendere in campo per
difendere anche l'acciaieria di Piombino, che resta il secondo polo
siderurgico d'Italia. Ma, ad uno sguardo più attento, ci rendiamo
conto che i partiti al governo delle principali istituzioni sono
fortemente corresponsabili per la situazione attuale, ed è ingenuo
da parte nostra aspettarsi rimedi da coloro che hanno provocato il
disastro. L'acciaieria fu privatizzata agli arbori della seconda
repubblica (inizi anni '90), quando i principali partiti decisero di
abbandonare alle sole leggi del mercato praticamente tutte le
dinamiche economiche nazionali. Oggi, soltanto per poter pensare di
iniziare a riparare i danni, dovremmo cominciare mandando
definitivamente a casa quei partiti che sono i maggiori artefici del
disastro e che ancora adesso tengono in mano le redini di questo
sciagurato Paese, sempre più traballante.
Progetto
per Volterra
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