sabato 15 giugno 2013

Il futuro dei piccoli presidi ospedalieri

L’insieme dei servizi sanitari è grosso modo riconducibile a due principali categorie di assistenza, quella territoriale e quella ospedaliera. Da anni assistiamo a continui “riordini” di tali servizi, ufficialmente tesi a migliorare le condizioni di erogazione. In pratica le riorganizzazioni sono frutto dei tagli economici che i partiti di governo impongono alla sanità pubblica. E’ evidente che, mentre l’assistenza territoriale sta vivendo tentativi di maggiore articolazione e sviluppo, l’assistenza ospedaliera stia subendo un processo di accentramento forzato dei punti di assistenza e di specializzazione. Chi paga il conto più salato della crescente concentrazione delle strutture ospedaliere sono i piccoli centri, dove più evidenti sono le difficoltà di accesso per gli utenti provenienti dai centri minori e dai territori di cui spesso una quota importante è rappresentata dagli anziani. Nei piccoli centri, dunque, i problemi connessi all’offerta sanitaria si riferiscono alle condizioni di fruibilità ed accessibilità, ai tempi di percorrenza, ai mezzi di trasporto, alla percorribilità delle strade. Del resto, anche la funzionalità dei presidi maggiori viene messa a dura prova dall'afflusso di nuovi utenti costretti a spostarsi dalle aree periferiche. Basti ricordare che negli anni scorsi il processo di riorganizzazione dell’offerta ospedaliera ha portato alla chiusura di numerosi piccoli presidi. Non molto tempo fa, ad esempio, furono chiusi quattro presidi a Pietrasanta, Seravezza, Viareggio e Camaiore, sostituiti con il nuovo ospedale della Versilia, situato a Camaiore, mentre i presidi di Chiusi, Chianciano, Montepulciano, Torrita, Sinalunga e Sarteano furono riuniti nell’ospedale della Val di Chiana Senese con sede a Montepulciano. Il processo è continuato per i presidi sopravvissuti al primo turno di “tagli”, mediante un loro progressivo svuotamento. Il presidio di Volterra in appena tre anni ha perso l’intera area materno-infantile e ha subito l'accorpamento forzato di cardiologia e medicina. E il processo non accenna ad arrestarsi, anzi. Con il pretesto di dover ridurre la spesa pubblica, in concomitanza col periodo di recessione in atto, si sta aprendo un nuovo e dolente capitolo. La Regione Toscana sta procedendo spedita verso la “riconversione” dei piccoli ospedali rimasti in Case della Salute, che per loro natura potranno garantire solo cure primarie ed intermedie. Attività e servizi di natura ben diversa dall’assistenza di tipo ospedaliero.
Rispetto alla passata riorganizzazione, pertanto, ciò che si sta verificando attualmente non è esclusivamente la centralizzazione dei servizi di alta specializzazione ma un vero e proprio effetto di trascinamento che rischia di portare fuori dai territori di riferimento anche altre attività di tipo sanitario a più bassa specializzazione, la cui diffusione territoriale è un importante fattore di qualità per la vita delle comunità locali. Sotto il profilo del tipo di assistenza ma anche per il mantenimento dei posti di lavoro sul territorio.
Una scelta non condivisibile che aggredisce quel principio universalistico che dovrebbe caratterizzare l’intero sistema sanitario nazionale. Il nodo della discussione, lo ribadiamo, è appunto qui. Un sistema istituzionale ben congegnato dovrebbe affrontarlo lealmente con i territori. E’ molto grave che la Regione Toscana proceda su questa linea senza confrontarsi con le comunità che subiranno le ricadute più gravi delle proprie riforme. Allo stesso tempo è inconcepibile che un Comune come Volterra, sede storica di un presidio ospedaliero, da dicembre 2012 ad oggi non abbia ancora messo in agenda un confronto pubblico su questo nodo critico con la Regione, che è colei che emana direttive vincolanti in materia sanitaria. Limitarsi ai botta e risposta sulle pagine dei giornali con il direttore generale, che alla fine, è un mero esecutore, non può portare nessun risultato utile.
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