L’insieme
dei servizi sanitari è grosso modo riconducibile a due principali
categorie di assistenza, quella territoriale e quella ospedaliera. Da
anni assistiamo a continui “riordini” di tali servizi,
ufficialmente tesi a migliorare le condizioni di erogazione. In
pratica le riorganizzazioni sono frutto dei tagli economici che i
partiti di governo impongono alla sanità pubblica. E’ evidente
che, mentre l’assistenza territoriale sta vivendo tentativi di
maggiore articolazione e sviluppo, l’assistenza ospedaliera stia
subendo un processo di accentramento forzato dei punti di assistenza
e di specializzazione. Chi paga il conto più salato della crescente
concentrazione delle strutture ospedaliere sono i piccoli centri,
dove più evidenti sono le difficoltà di accesso per gli utenti
provenienti dai centri minori e dai territori di cui spesso una quota
importante è rappresentata dagli anziani. Nei piccoli centri,
dunque, i problemi connessi all’offerta sanitaria si riferiscono
alle condizioni di fruibilità ed accessibilità, ai tempi di
percorrenza, ai mezzi di trasporto, alla percorribilità delle
strade. Del resto, anche la funzionalità dei presidi maggiori viene
messa a dura prova dall'afflusso di nuovi utenti costretti a
spostarsi dalle aree periferiche. Basti ricordare che negli anni
scorsi il processo di riorganizzazione dell’offerta ospedaliera ha
portato alla chiusura di numerosi piccoli presidi. Non molto tempo
fa, ad esempio, furono chiusi quattro presidi a Pietrasanta,
Seravezza, Viareggio e Camaiore, sostituiti con il nuovo ospedale
della Versilia, situato a Camaiore, mentre i presidi di Chiusi,
Chianciano, Montepulciano, Torrita, Sinalunga e Sarteano furono
riuniti nell’ospedale della Val di Chiana Senese con sede a
Montepulciano. Il processo è continuato per i presidi sopravvissuti
al primo turno di “tagli”, mediante un loro progressivo
svuotamento. Il presidio di Volterra in appena tre anni ha perso
l’intera area materno-infantile e ha subito l'accorpamento forzato
di cardiologia e medicina. E il processo non accenna ad arrestarsi,
anzi. Con il pretesto di dover ridurre la spesa pubblica, in
concomitanza col periodo di recessione in atto, si sta aprendo un
nuovo e dolente capitolo. La Regione Toscana sta procedendo spedita
verso la “riconversione” dei piccoli ospedali rimasti in Case
della Salute, che per loro natura potranno garantire solo cure
primarie ed intermedie. Attività e servizi di natura ben diversa
dall’assistenza di tipo ospedaliero.
Rispetto
alla passata riorganizzazione, pertanto, ciò che si sta verificando
attualmente non è esclusivamente la centralizzazione dei servizi di
alta specializzazione ma un vero e proprio effetto di trascinamento
che rischia di portare fuori dai territori di riferimento anche altre
attività di tipo sanitario a più bassa specializzazione, la cui
diffusione territoriale è un importante fattore di qualità per la
vita delle comunità locali. Sotto il profilo del tipo di assistenza
ma anche per il mantenimento dei posti di lavoro sul territorio.
Una
scelta non condivisibile che aggredisce quel principio
universalistico che dovrebbe caratterizzare l’intero sistema
sanitario nazionale. Il nodo della discussione, lo ribadiamo, è
appunto qui. Un sistema istituzionale ben congegnato dovrebbe
affrontarlo lealmente con i territori. E’ molto grave che la
Regione Toscana proceda su questa linea senza confrontarsi con le
comunità che subiranno le ricadute più gravi delle proprie riforme.
Allo stesso tempo è inconcepibile che un Comune come Volterra, sede
storica di un presidio ospedaliero, da dicembre 2012 ad oggi non
abbia ancora messo in agenda un confronto pubblico su questo nodo
critico con la Regione, che è colei che emana direttive vincolanti
in materia sanitaria. Limitarsi ai botta e risposta sulle pagine dei
giornali con il direttore generale, che alla fine, è un mero
esecutore, non può portare nessun risultato utile.
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