martedì 27 marzo 2012

Solvay: riaprire il confronto, ma realmente

La storia si ripete. La Giunta Regionale, dopo aver deliberato il cosiddetto “protocollo ponte” sulle concessioni minerarie denominate “Cecina” e “Poppiano”, ha proceduto alla sua firma con i soggetti disposti a farlo. Chi non si è trovato d'accordo col testo proposto può tranquillamente accomodarsi fuori dalla porta. Peccato che tra quelli insoddisfatti dai contenuti del protocollo ci sia il Comune di Volterra, proprio quello interessato dalle suddette concessioni. Certamente invitare al confronto solo i soggetti con cui si è già d'accordo in partenza è molto più comodo. Semmai c'è da dubitare che questo sia un approccio democratico, e magari anche utile. Ingenuamente pensavamo che i tavoli di confronto si istituissero proprio per cercare di comporre punti di vista diversi, ma evidentemente c'è chi crede che siano strumenti di ratifica di decisioni già prese e calate dall'alto. Noi siamo di diverso avviso.
E' bene ricordare che se questa vertenza è in atto è in atto dall'ormai lontano 1995 (ben 17 anni), quando fu stesa la prima bozza di accordo Monopoli-Solvay, significa che ripone su ragioni fondate e ben radicate. Questo, infatti, fu un accordo così squilibrato da provocare conseguenze negative su più fronti: ambientale, economico, occupazionale. Conseguenze su cui colpevolmente sono stati chiusi gli occhi e su cui si vorrebbe sorvolare ancora adesso. Ricordiamole sommariamente. L'accordo paradossalmente nacque da un contenzioso tra Solvay e il Ministero delle Finanze per circa 170 miliardi di lire di canoni minerari non versati da Solvay allo Stato Italiano. Dopo aver perso in tutti i gradi di giudizio, Solvay avviò finalmente una trattativa per raggiungere una transazione col Ministero. Ma era appunto il 1995, il periodo di massima ubriacatura pro-privatizzazioni, per cui il contenzioso ebbe uno strano esito. Solvay si decise a versare dopo 22 anni il dovuto alle casse dello Stato, ma ricevette in cambio due sorprendenti regali: la possibilità di sfruttare i 1.740 ettari di concessioni minerarie dei Monopoli di Stato a Saline (che si andavano ad aggiungere agli oltre 1700 Ha che già possedeva) e il drastico abbassamento del canone minerario da 2.700 a 1.700 lire (88 centesimi) per tonnellata di sale estratto. Tale canone applicato a 2 milioni di tonnellate di sale prelevato annualmente dalla Val di Cecina equivale a 1.760.000 euro. Denari che vanno direttamente nelle casse del Ministero, praticamente senza prevedere misure d'indennizzo alle comunità locali. Questo nonostante l'ingente prelievo di risorse (acqua e sale), le subsidenze, le frane e l'immobilizzazione di territorio siano tutti oggettivi fattori negativi che si ripercuoto direttamente sulla zona di estrazione: l'Alta Val di Cecina, appunto.
L'accordo Monopoli-Solvay, secondo i suoi sostenitori, avrebbe dovuto rilanciare la Salina di Stato. Il tempo ha dimostrato quanto fosse falsa e tendenziosa questa previsione. I 130 posti di lavoro (posti statali, ergo di qualità) della Salina della metà anni '90 sono oggi ridotti a 43 in ATI-Sale, l'azienda che ha rilevato l'attività. Con una qualità dei posti di lavoro neppure confrontabile con quanto conoscevamo in precedenza. Anche tutte le altre promesse sul fronte aziendale sono rimaste tali: gli impianti dovevano essere ammodernati, le discariche messe a norma, la commercializzazione rilanciata. Infine, gli impatti ambientali sono così evidenti da costituire un caso di dimensioni regionali. Già varie sentenze del TAR e del Consiglio di Stato hanno affermato, per esempio, la necessità di ridefinire le prescrizioni a tutela della risorsa idrica per gli usi idropotabili, che oggi è scarsamente garantita. Non si può continuare a chiudere gli occhi e lasciare tutto com'è, perché così non si tutela il territorio, non si tutelano le risorse, si continua a penalizzare la popolazione di Saline e, in ultima analisi, non si difendono neppure adeguatamente i posti di lavoro dei dipendenti Solvay. A noi sembra che il modo migliore per consolidare l'attività di una azienda sia renderla compatibile con l'ambiente e le altre realtà che insistono sulla stessa zona. Tirare avanti alla meno peggio, invece, è il modo più sicuro per lasciare incancrenire i problemi e per far collassare definitivamente il sistema.

Progetto Originario - Commissione Ambiente      

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