L'articolo 32 della Costituzione
Italiana afferma: “la Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e
garantisce cure gratuite agli indigenti”. Negli ultimi anni i tagli alla sanità
hanno generato un progressivo indebolimento del sistema sanitario pubblico,
tanto da ledere un diritto sancito nella nostra Costituzione. L’arretramento
della sanità pubblica è ben evidente, se si pensa alla drammatica diminuzione
dei posti letto, alla contrazione forzata dei tempi di degenza,
all’allungamento delle liste di attesa, all’inasprimento dei tickets e, per
conseguenza di tutto ciò, al frequente ricorso del cittadino (quello che può
permetterselo) alla sanità privata.
Il numero dei posti letto presenti
complessivamente nelle strutture pubbliche, che nel 1997 nel Paese era di
328.000, nel 2009 era ridotto a 217.800: un terzo di meno. Ma non basta. I
tagli continuano, se è vero che il numero di posti letto per 1000 abitanti in
Italia è passato da 3,43 nel 2010 (la media dei paesi OCSE era di 4.8) al 3.29
nel 2012 (fonte: Ministero della Salute). E’ di questi giorni la notizia che il
governo Renzi ha in mente un’ulteriore sforbiciata. La riduzione dei posti
letto negli ospedali pubblici, che ha per conseguenza i tempi di degenza
ridotti al minimo, costringe molti ammalati a tornare a casa in condizioni
spesso precarie, con ricadute sociali ed economiche sulle famiglie.
L’allungamento talora sfibrante delle
liste di attesa e l’inasprimento dei tickets inducono una fetta sempre più
ampia della popolazione (quella che può ancora permetterselo) a rivolgersi alle
strutture private, dove a fronte di tempi di attesa sicuramente più corti i
costi per le prestazioni risultano spesso paragonabili e talora addirittura
inferiori a quelli dei tickets applicati nelle strutture pubbliche. Se non è
un'operazione di boicottaggio questa.
Nella nostra zona, purtroppo, abbiamo
cominciato a pagare da anni il conto alla politica dei tagli alla sanità
pubblica. Ultimamente abbiamo assistito al progressivo depauperamento dei
servizi offerti dal nostro ospedale, che ha costretto tanti cittadini a
spostamenti di diverse decine di chilometri verso le strutture più grandi.
Dall’iniziale depotenziamento delle specialistiche (come alcuni settori della
chirurgia o il parto) e delle aree di degenza (come ostetricia, pediatria e
cardiologia) siamo arrivati progressivamente ad intaccare anche i sevizi
essenziali, come la reperibilità pediatrica, alcune specialità chirurgiche e le
attività della cardiologia.
Poco ci rassicura il fatto che in molte
regioni italiane la situazione sanitaria sia perfino peggiore che in Toscana,
quando questo comporta comunque per l’utente lunghe attese, disagi, obbligo di
spostamenti e costi diretti (ticket) ed indiretti (spese di viaggio ed
soggiorno) rilevanti. Il taglio delle spese per le aziende sanitarie, che
ovviamente è giusto quando si tratta davvero di eliminare i veri sprechi, nei
casi citati si traduce in disagi e costi ribaltati in capo all’utente finale,
il malato. Alla base dell'arretramento registrato in questi anni c’è la
gestione della struttura sanitaria pubblica pretesa come azienda qualsiasi, per
di più fortemente politicizzata. Conformare l'attività dell'ospedale a quella
di un'azienda, ha comportato l'introduzione di una serie di artifici per
misurane le prestazioni sulla base di utili fittizi, calcolati introducendo
parametri numerici come i DRG. Simili metodi sono stati mutuati dal sistema
statunitense, un sistema profondamente diverso dal nostro, incentrato sulle
compagnie d'assicurazione e sui loro profitti, che tra l'altro è da anni
fortemente criticato nella patria d'origine per l'esclusione di tanta parte
della popolazione.
Quando consideriamo l'assistenza sanitaria un
diritto, come vorrebbe la nostra Costituzione, le prestazioni al malato non
possono essere intese che come un servizio. Oltretutto i cui costi sono già
stati sostenuti dal cittadino attraverso la fiscalità generale. In un recente
studio dell'Osservatorio sui consumi privati in sanità della SDA Bocconi
(Ocps), si evidenzia che l’andamento della spesa sanitaria delle famiglie
italiane negli anni 2010-2012 ricalca in modo impressionante l’andamento del
PIL ed è legata ai redditi; tanto da arrivare ad affermare che la spesa
sanitaria si comporta ormai come un genere di lusso. I dati cozzano in modo
evidente con il dettato costituzionale, riposto in un cassetto da un fronte
trasversale di partiti e sempre più dimenticato. Se non si interviene
riportando la discussione sul diritto fondamentale ad essere curati, piuttosto
che sui conti del ragioniere. Risparmiare si può, ma la spesa va aggredita
davvero negli ambiti in cui risiedono gli sprechi insopportabili, come il costo
eccessivo dei farmaci in molte regioni d'Italia (una siringa costa 6 centesimi
alla Regione Veneto e fino 5€ in alcune Regioni del Sud), gli esborsi talora
esorbitanti a vantaggio della sanità convenzionata, la moltiplicazione di
posizioni dirigenziali fittizie (spesso concesse per meriti politici) da cui derivano
compensi alti e troppo spesso ingiustificati.
Commissione
Sanità - Progetto per Volterra, Sonia Guarneri candidata Sindaco
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