L'attuale crisi economica per il suo
lungo e incerto decorso e le sue storiche dimensioni viene avvertita ovunque,
ma finora ha avuto impatti sicuramente più travolgenti e pervasivi nelle realtà
maggiormente vocate per l'industria. In questo senso possiamo affermare che
Volterra non si trova nell'occhio del ciclone. Ma basta guardare appena fuori
dalla porta di casa per sbattere il muso nel disastro in corso. Un disastro
economico a cui purtroppo si accompagna lo sfaldamento drammatico di una
struttura sociale ormai disarticolata. A me sembra valga la pena gettare un po'
di luce su una vicenda tra le tante che accadono in questo periodo. Quella che
attanaglia dall'inizio della crisi un'industria della vicina Poggibonsi, dove
lavorano anche tre volterrani. Si tratta di una di quelle industrie per caravan
per le quali Poggibonsi è ormai nota, un'azienda che solo 3 anni fa contava 250
dipendenti, di cui la gran parte nello stabilimento principale e 67 distaccati
in un secondo impianto con sede in un piccolo comune a sud della provincia di
Siena. Con la crisi economica le vendite di un bene voluttuario come il camper
sono crollate, specie in Italia. L'impatto è stato durissimo, tanto più che a
sostenere il colpo alla guida dell'azienda non c'era più il suo fondatore,
deceduto nel 2005. La seconda generazione spesso non ha la fibra di chi l'ha
preceduta e, nel nostro caso, l'azienda con un mercato in picchiata si è presto
trovata gravata da circa 50 milioni di euro di debiti verso fornitori e banche.
L'impianto decentrato è stato il primo
ad essere sacrificato. Lo stabilimento fu chiuso nel 2011 e i dipendenti, dopo
un periodo di cassa integrazione, sono stati licenziati nell'estate del 2013. Nello stesso periodo anche per lo stabilimento
principale, quello di Poggibonsi, venne dichiarato lo stato di crisi, con richiesta di ammissione al concordato preventivo per
le notevoli difficoltà finanziarie e conseguente accordo di cassa integrazione
straordinaria per tutti i 164 dipendenti residui. L'accordo prevedeva di
attivare una rotazione fra i dipendenti rimasti per rispondere alle esigenze di
produzione, dato che la domanda nel frattempo accennava alla ripresa, anche se
in misura molto limitata. Ma nei mesi successivi la rotazione del personale
venne attuata in modo molto parziale, in determinati reparti alcuni lavoratori
sono stati costantemente esclusi e altri sono stati richiamati col contagocce. Nel
contesto di una crisi così dura, con la prospettiva di ulteriori
licenziamenti, simili indizi vengono subito colti e non mancano di seminare il
panico. Anche per via del clima pesante creatosi in azienda, dove aleggiano
ormai stabilmente paura, sospetto, piccoli e grandi rancori. Nel frattempo
hanno preso piede voci dell'imminente costituzione di una NewCo (la nuova
compagnia che dovrebbe sostituire l'attuale), dove troverebbe posto soltanto la
metà circa dei dipendenti in forza all'azienda. Inutile dire che per l'altra
metà del personale si è fatta concreta la prospettiva del licenziamento finale
dopo il limbo della cassa integrazione.
In questi casi la legge offre alle
aziende una diversa alternativa, la gestione solidale della minore attività
attualmente disponibile attraverso l'utilizzo del contratto di solidarietà,
redistribuendo, non necessariamente in parti uguali, i carichi di lavoro tra i
dipendenti rimasti. Di fronte a questa
drammatica prospettiva, alla vigilia di Natale (ad azienda chiusa e
all'insaputa della gran parte dei dipendenti), la solidarietà s'è infranta. Uno
dei due sindacati presenti in azienda, la FIM-CISL, ha firmato da sola
l'accordo preliminare alla costituzione della nuova società, in cui verranno
trasferiti solo 85 dipendenti. Questo mentre la FIOM-CGIL tentava di non
abbandonare a se stessi metà dei dipendenti, promuovendo lo strumento del
contratto di solidarietà e quindi il ricorso ad ammortizzatori sociali
conservativi e solidali, unitamente ad uscite volontarie e incentivate.
In pratica si è riprodotto
specularmente il modello FIAT di Pomigliano, che come c'era da attendersi ha
germinato chissà quante imitazioni. Con tutto il seguito di veleni, a partire
dallo scontro interno tra sindacati e tra operai, che si sono visti divisi da
quel momento tra “sommersi e salvati”, inclusi ed esclusi. Rapidamente si è
sparso il timore che nel gran numero dei destinati al licenziamento potrebbe
finire buona parte degli operai iscritti al sindacato meno malleabile, o magari
quelli meno giovani, quelli con ridotte capacità lavorative. I nostri tre
concittadini dipendenti della ditta hanno tutti oltre 50 anni di età, non
godono di perfetta salute e, logicamente, non dormono sonni tranquilli da molte
settimane.
Forse a qualcuno potrà sembrare un
racconto tratto da una cronaca degli anni '50. Invece succede adesso, qui, a
due passi da noi, e in molte altre parti del Paese. Mentre la politica
nazionale s'accapiglia e si disperde nei teatrini di sempre, la Juve conduce
trionfalmente il campionato e l'Italia s'appresta a seguire in tv la 64°
edizione del festival di Sanremo.
Fabio Bernardini, Progetto Originario
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