venerdì 6 dicembre 2013

Flessibili, infiammabili

Quanti giorni di attenzione potranno dedicare i media ai sette morti nel rogo dell'azienda tessile di Prato? Trenta secondi al giorno per cinque o sei giorni, forse. Una milionesima parte del tempo dedicato alla decadenza di Berlusconi dal suo seggio in senato, mille volte meno del tempo dedicato ad un goal di Kakà, cento volte meno del giubbotto di pelle di Renzi e indubbiamente molto meno tempo di quello dedicato a Dudù, il cagnetto che scorrazza nei corridoi di palazzo Grazioli. Un secolo fa - ma erano altri tempi - un altro incendio, avvenuto in un'altra fabbrica tessile, a New York, divenne un caso internazionale da cui presero avvio nuove leggi sulla sicurezza sul lavoro e fornì lo slancio per una più solida coscienza sindacale, tanto che la sua ricorrenza è ancora ricordata in gran parte del mondo come festa dei lavoratori, ogni primo maggio.
Di sicuro erano altri tempi, i diritti erano in fase di espansione, andavano diffondendosi le idee socialiste e molti giornalisti avevano coscienza del proprio ruolo nella formazione della nascente “opinione pubblica delle nazioni”.
Oggi, invece, i giornali sono in mano ai principali gruppi economici e bancari e così i giornalisti che vi lavorano, i diritti delle persone vengono continuamente erosi e l'unico credo politico universale è il pensiero unico del grande capitale. Un credo a cui fa comodo lo svilimento più barbaro del lavoro. Più crescono disperazione e miseria nel mondo, migliori sono le condizioni a cui possono attingere forza lavoro. Chi non ha diritti può solo svendere se stesso, il suo tempo, la sua salute, la sua sicurezza. Le persone che sono morte bruciate nel rogo del capannone di Prato sono lavoratori ideali. Tanto flessibili da rimanere sul posto di lavoro giorno e notte per un compenso da fame, in attesa di riscattare il costo del proprio viaggio della speranza e della propria libertà, che forse un giorno arriverà. Non credo che si tratti di realtà ignote alle autorità. L'azienda in questione era iscritta alla camera di commercio ed è solo una delle tante: circa 5.000, solo nella provincia di Prato. Quando si vuole i controlli si riescono a fare, un ristorante dopo l'altro, un bar dopo l'altro, in cerca di un bagno senza antibagno, di un piano di lavoro di un metallo che non sia acciaio inox, di un'ombra di polvere sopra il frigo. Non si vedono solo perché non si vogliono vedere intere zone industriali, con capannoni estesi per migliaia di metri quadrati e soppalchi suddivisi in loculi come alveari, dove dormono gli schiavi dei nostri giorni. Perché questo tipo di lavoro è il nuovo modello che funziona a cui dobbiamo tendere, generatore di ricchezza per pochi e sottomissione per molti. E' la benzina che già da anni manda avanti il settore della moda italiana, anche quella di extra lusso. E quei lavoratori cinesi così docili, flessibili, disperati sono un modello anche per tanti dei nostri, che “vivono al di sopra delle loro possibilità”. Peccato solo s'ostinino a rimanere infiammabili. Neanche fossimo ai primi del '900.


Fabio Bernardini, Progetto Originario 

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