sabato 1 febbraio 2014

Schegge di crisi



L'attuale crisi economica per il suo lungo e incerto decorso e le sue storiche dimensioni viene avvertita ovunque, ma finora ha avuto impatti sicuramente più travolgenti e pervasivi nelle realtà maggiormente vocate per l'industria. In questo senso possiamo affermare che Volterra non si trova nell'occhio del ciclone. Ma basta guardare appena fuori dalla porta di casa per sbattere il muso nel disastro in corso. Un disastro economico a cui purtroppo si accompagna lo sfaldamento drammatico di una struttura sociale ormai disarticolata. A me sembra valga la pena gettare un po' di luce su una vicenda tra le tante che accadono in questo periodo. Quella che attanaglia dall'inizio della crisi un'industria della vicina Poggibonsi, dove lavorano anche tre volterrani. Si tratta di una di quelle industrie per caravan per le quali Poggibonsi è ormai nota, un'azienda che solo 3 anni fa contava 250 dipendenti, di cui la gran parte nello stabilimento principale e 67 distaccati in un secondo impianto con sede in un piccolo comune a sud della provincia di Siena. Con la crisi economica le vendite di un bene voluttuario come il camper sono crollate, specie in Italia. L'impatto è stato durissimo, tanto più che a sostenere il colpo alla guida dell'azienda non c'era più il suo fondatore, deceduto nel 2005. La seconda generazione spesso non ha la fibra di chi l'ha preceduta e, nel nostro caso, l'azienda con un mercato in picchiata si è presto trovata gravata da circa 50 milioni di euro di debiti verso fornitori e banche.
L'impianto decentrato è stato il primo ad essere sacrificato. Lo stabilimento fu chiuso nel 2011 e i dipendenti, dopo un periodo di cassa integrazione, sono stati licenziati nell'estate del 2013. Nello stesso periodo anche per lo stabilimento principale, quello di Poggibonsi, venne dichiarato lo stato di crisi, con richiesta di ammissione al concordato preventivo per le notevoli difficoltà finanziarie e conseguente accordo di cassa integrazione straordinaria per tutti i 164 dipendenti residui. L'accordo prevedeva di attivare una rotazione fra i dipendenti rimasti per rispondere alle esigenze di produzione, dato che la domanda nel frattempo accennava alla ripresa, anche se in misura molto limitata. Ma nei mesi successivi la rotazione del personale venne attuata in modo molto parziale, in determinati reparti alcuni lavoratori sono stati costantemente esclusi e altri sono stati richiamati col contagocce. Nel contesto di una crisi così dura, con la prospettiva di ulteriori licenziamenti, simili indizi vengono subito colti e non mancano di seminare il panico. Anche per via del clima pesante creatosi in azienda, dove aleggiano ormai stabilmente paura, sospetto, piccoli e grandi rancori. Nel frattempo hanno preso piede voci dell'imminente costituzione di una NewCo (la nuova compagnia che dovrebbe sostituire l'attuale), dove troverebbe posto soltanto la metà circa dei dipendenti in forza all'azienda. Inutile dire che per l'altra metà del personale si è fatta concreta la prospettiva del licenziamento finale dopo il limbo della cassa integrazione.
In questi casi la legge offre alle aziende una diversa alternativa, la gestione solidale della minore attività attualmente disponibile attraverso l'utilizzo del contratto di solidarietà, redistribuendo, non necessariamente in parti uguali, i carichi di lavoro tra i dipendenti rimasti.  Di fronte a questa drammatica prospettiva, alla vigilia di Natale (ad azienda chiusa e all'insaputa della gran parte dei dipendenti), la solidarietà s'è infranta. Uno dei due sindacati presenti in azienda, la FIM-CISL, ha firmato da sola l'accordo preliminare alla costituzione della nuova società, in cui verranno trasferiti solo 85 dipendenti. Questo mentre la FIOM-CGIL tentava di non abbandonare a se stessi metà dei dipendenti, promuovendo lo strumento del contratto di solidarietà e quindi il ricorso ad ammortizzatori sociali conservativi e solidali, unitamente ad uscite volontarie e incentivate.
In pratica si è riprodotto specularmente il modello FIAT di Pomigliano, che come c'era da attendersi ha germinato chissà quante imitazioni. Con tutto il seguito di veleni, a partire dallo scontro interno tra sindacati e tra operai, che si sono visti divisi da quel momento tra “sommersi e salvati”, inclusi ed esclusi. Rapidamente si è sparso il timore che nel gran numero dei destinati al licenziamento potrebbe finire buona parte degli operai iscritti al sindacato meno malleabile, o magari quelli meno giovani, quelli con ridotte capacità lavorative. I nostri tre concittadini dipendenti della ditta hanno tutti oltre 50 anni di età, non godono di perfetta salute e, logicamente, non dormono sonni tranquilli da molte settimane.
Forse a qualcuno potrà sembrare un racconto tratto da una cronaca degli anni '50. Invece succede adesso, qui, a due passi da noi, e in molte altre parti del Paese. Mentre la politica nazionale s'accapiglia e si disperde nei teatrini di sempre, la Juve conduce trionfalmente il campionato e l'Italia s'appresta a seguire in tv la 64° edizione del festival di Sanremo.

Fabio Bernardini, Progetto Originario

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