martedì 19 marzo 2013

Emergenza a termine

Con il 28 febbraio si conclude l’accoglienza dei profughi provenienti dai paesi dalla Libia dai tempi del conflitto. Una vicenda che per il Comune di Volterra prende avvio nella primavera 2011, quando l’amministrazione manifestò la sua disponibilità ad offrire ospitalità ad un primo gruppo di circa 20 cittadini pakistani che lavoravano in Libia, collocandoli provvisoriamente nell’atrio secondario della residenza S. Chiara. Seguì, poco dopo, l’arrivo di altri ospiti a più riprese e lo spostamento in quella che sarebbe stata la struttura di accoglienza definitiva ovvero i locali dismessi dell’ex scuola elementare di S. Chiara. Un’accoglienza finanziata con fondi europei arrivati  sul territorio attraverso il Ministero dell’Interno, grazie ai quali sono stati corrisposti all’ente ospitante fino a 43 euro al giorno per ciascun rifugiato. Soldi che, è bene sottolineare, sono andati  alle strutture ospitanti e non certo agli ospiti. Un’operazione che, in termini economici, di fatto, ha consentito all’Asp S. Chiara di ridurre di un terzo la sua perdita di gestione per l’anno 2012, tanto da arrivare a definire la gestione dell’emergenza profughi, nella Relazione del Presidente allegata al bilancio, come un nuovo “ramo di attività”. Nonostante la disponibilità di risorse, è evidente che è stata posta in essere un’accoglienza di fortuna, organizzata in strutture precarie, senza alcuno sforzo teso alla reale integrazione nel tessuto sociale cittadino o comunque a favorire percorsi di autonomia. Infatti, se l’operazione fosse stata gestita con i criteri della qualità dell’accoglienza e dell’inclusione sociale avremmo dovuto ricevere un numero molto più contenuto di ospiti, viste le limitate capacità di assorbimento del tessuto sociale e occupazionale della zona. Il Comune di Pomarance, per esempio, scelse di accogliere un solo nucleo familiare di rifugiati, nella prospettiva di riuscire ad inserirli progressivamente nel proprio contesto sociale.  Per i rifugiati del S. Chiara gli interventi ai fini dell’integrazione sono stati sporadici e perlopiù affidati alle associazioni di volontariato o culturali che da sempre si occupano di queste problematiche sul territorio, con il validissimo supporto dello Sportello Stranieri che al massimo delle sue possibilità ha seguito il percorso per il rilascio dei permessi di soggiorno per fini umanitari. Probabilmente i rifugiati indirizzati a Volterra non hanno vissuto una sorte peggiore di quelli affidati a molti altri centri in giro per l’Italia, ma certamente non sono stati accolti guardando all’obiettivo dei loro bisogni e quindi alle prospettive d’integrazione. I numeri presi in carico e le soluzioni precarie applicate hanno favorito anche molte incomprensioni: si è letto di tutto in questi mesi, anche di moti d’insofferenza verso chi veniva definito un peso per la comunità. La realtà, però, è quella che abbiamo appena esposto, in cui l’emergenza umanitaria è stata anche utilizzata per ravvenare bilanci esangui. Oggi, alla scadenza del periodo di accoglienza finanziato dallo Stato, queste persone, con in tasca un permesso annuale per motivi umanitari e 500euro di buona uscita,  sono lasciate “libere” di  trovare in proprio una nuova sistemazione in giro per l’Italia. Dove e come è affar loro. Chi ha utilizzato l’arrivo dei profughi per i propri fini, adesso, non può  girare la testa dall’altra parte. In 20 mesi di gestione dell’emergenza, con le risorse a disposizione, si è messa in piedi un’accoglienza senza futuro. Mero assistenzialismo fine a se stesso. Diciamo che in questo frangente si sente ancora di più la mancanza di una figura come don Vincenzo, sempre pronto a provvedere anche in assenza della mano pubblica.
Progetto Originario

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